Napolitano torna a Roma lasciandosi alle spalle la Terra dei Fuochi
«Non sei il nostro presidente, ma il nostro carnefice». Poche, taglienti parole che racchiudono tutta la rabbia e la disperazione di chi sente lo Stato non solo assente e lontano ma, addirittura, nemico. E’ stata una processione gonfia di dolore e collera quella che si mossa domenica sera nell’oscurità ondeggiando verso villa Rosebery. Fiaccole e lumini che cercano di bucare il buio pesto della notte napoletana fra via Posillipo e via Ferdinando Russo gettando una luce sinistra sulle croci in legno portate a spalla da madri dolenti e sui cartelli issati in alto. Sui quali campeggiano le foto di bambini e uomini ammalati di tumore.
La protesta contro Giorgio Napolitano che da mesi fluttua e si gonfia sui social network come un’onda cattiva è dilagata fuori dalla rete. E non basta che la Digos sbarri il passo, a cento metri da quei cancelli blindatissimi, a quella manciata di persone, poco più di una decina, venute perlopiù da Giugliano e che vorrebbero incontrare il presidente della Repubblica in vacanza relax nel monumentale complesso neoclassico che si specchia da Posillipo sul Golfo. Le parole che arrivano alle orecchie di Napolitano sono schiaffi brucianti come la carta vetrata.
Sotto accusa, è il presidente, per quel periodo in cui era ministro dell’Interno. Era il periodo in cui alcuni camorristi iniziarono a vuotare il sacco sui misteri della Terra dei Fuochi. Su quei cumuli di rifiuti tossici interrati nelle campagne e incendiati. Sui tanti, troppi, interessi che gravano sulla vicenda. Su quel magma di rapporti indicibili che lega, sostengono i pentiti, criminalità, politica e massoneria. Dichiarazioni pesanti. Si decise di mettere una pietra tombale istituzionale su quanto andavano raccontando i pentiti. In particolare su quello che disse, il 7 ottobre 1997, di fronte alla Commissione Parlamentare sui ciclo dei rifiuti, il pentito Carmine Schiavone del clan dei Casalesi. Dichiarazioni che riempirono 60 pagine di verbale. E ora i cittadini di Giugliano hanno deciso di chiedere conto direttamente a Napolitano di quel comportamento. Si sentono snobbati dal presidente. Che oggi ha lasciato villa Rosebery, senza aver incontrato gli abitanti della Terra dei Fuochi, per tornarsene a Roma, al Quirinale, lontano da quelle polemiche e da quelle accuse.
Soprattutto c’è lo sconforto e l’amarezza di fronte a gesti e parole del capo dello Stato che appaiono tardive. E più di forma che di sostanza. Nel mirino dei manifestanti c’è la lettera partita dal Quirinale e indirizzata a don Patricello, il parroco di Caivano che ha preso a cuore la vicenda della Terra dei Fuochi. «Chiacchiere. Solo inutili e vuote chiacchiere», si spazientiscono i manifestanti fermati dalla Digos e che volevano portare a Napolitano solo un dossier di 54 pagine. Nel frattempo le dichiarazioni di Schiavone sono state desegretate.
Ma poi c’è l’altra faccia della medaglia. Ci sono i magistrati Raffaele Cantone, ora magistrato di Cassazione e Federico Cafiero De Raho, ora procuratore capo a Reggio Calabria che, per anni, hanno indagato sulla vicenda. E che ritengono che il pentito Schiavone dica «stupidaggini».
Ricordano che Schiavone è stato il primo pentito di quell’area della criminalità. E sottolineano come tutte le sue dichiarazioni vennero severamente approfondite. Ma, nello specifico, quando si andò a cercare un riscontro reale non si trovò nulla. «Laddove Schiavone indicò dove erano stati sversati i rifiuti – ricorda Federico Cafiero De Raho – andammo lì e non trovammo nulla. Siamo andati, per esempio, nei laghetti di Castelvolturno, uno dei punti in cui ci venne detto che erano stati sversati i fusti tossici. Non c’erano rifiuti radioattivi». E aggiunge il suo ex-collega nelle indagini, l’ex-pm Raffaele Cantone: «Tutto quello che ha detto Schiavone è stato oggetto di verifiche approfonditissime. Un dato è certo: ad oggi nessun rifiuto radioattivo è stato trovato dalla Procura di Napoli».