Napolitano, un discorso con luci e ombre che non esalta nemmeno gli editorialisti di sinistra

2 Gen 2014 10:25 - di Guglielmo Federici

Letture contrastanti come da rituale hanno accompagnato il discorso presidenziale di fine anno, che ha attirato su di sé i riflettori se non altro per l’eccezionalità della circostanza che probabilmente sarà l’ultimo di Giorgio Napolitano dallo scranno più alto della Repubblica. («Non resterò a lungo, resterò quanto serve»). Deludenti vengono giudicate le sue parole da Forza Italia, che invoca un ritorno alle elezioni anticipate. Plaudono all’equilibrio delle parole del presidente Pd, e Nuovo Centrodestra, ossia le truppe governative; promette l’impeachment Beppe Grillo con i cinque stelle. I principali editorialisti hanno rilevato come si tratti di un discorso luci ed ombre, «specchio dell’anomalia italiana», scrive Massimo Giannini, su Repubblica. Parole, quelle del Capo dello Stato, che rivelano  «come oggi l’Italia, scissa tra piazza e Palazzo, sopravviva sul crinale instabile del “semipresidenzialismo di fatto”. Chi si aspettava annunci “clamorosi”, scrive Giannini, «è rimasto deluso», ammette, evidenziando la ricerca di un equilibrio tra «tensione morale» e «attenzione istituzionale». La prima si coglie nelle lettere da lui lette dei sette  italiani inviate al Quirinale, che rende bene il disagio di un Paese impoverito. Ma questa “mossa” adatta a ribadire il legame profondo che ha Napolitano con l’opinione pubblica, rivela poi sul fronte dell’attenzione istituzionale quasi un riconoscimento dei suoi limiti. «Dopo mesi di protagonismo, il Quirinale sembra fare quasi un passo indietro, se non di lato», si legge. «Conferma il sostegno convinto al governo Letta, ma lo invita a scuotersi dalla sindrome del galleggiamento». Sollecita il parlamento a dare l’esempio, a fare le riforme e a fare gli stessi «sacrifici» degli altri italiani. «Tocca a voi e non a me modernizzare l’Italia». Ma sa bene quanto sia impresa quasi impossibile. Ribadirlo serve soltanto a respingere «le campagne calunniose» grilline. Un po’ poco. «Triste», rileva Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, «il tentativo di recuperare uno straccio di rapporto con la gente comune: Sua maestà ha declamato alcune lettere di sudditi in difficoltà per la crisi, omettendo quelle critiche e senza rispondere a nessuna». Molto triste, aggiunge Travaglio, che mette sulla graticola il Capo dello Stato, l’appello al rinnovamento da parte di un veterano entrato in Parlamento nel 1953.  Triste, anche l’elogio al “suo” governo Letta circa «le misure recenti all’esame del Parlamento in tema di province  e di finanziamento pubblico dei partiti, due maquillage gattopardeschi che non faranno risparmiare un solo euro alla collettività». Solo il Pd, tra le reazioni politiche, plaude a Re Giorgio. Mentre sull’ambivalenza del discorso presidenziale punta il dito su Twitter Giorgia Meloni, capogruppo di Fratelli d’Italia. «Una considerazione positiva e una negativa sul discorso di fine anno. Considerazione positiva: ha citato i nostri marò prigionieri in India, come aveva chiesto FdI e di questo siamo lieti. Riportarli immediatamente a casa, dopo 22 mesi di detenzione illecita e senza ulteriori umiliazioni è una priorità istituzionale e politica». La considerazione negativa – prosegue – «è che nel 2013, che lui stesso ha definito l’anno più difficile della nostra storia repubblicana, l’Italia è stata guidata da esecutivi tecnici e di larghe intese. Governi “del presidente” che lui ha voluto, ha scelto e ha addirittura posto come condizione quando ha accettato il secondo mandato al Quirinale. Il Presidente dovrebbe dunque assumersi la sua parte di responsabilità». Cosa che non c’è stata. Napolitano avrebbe dovuto mettere in evidenza di più gli errori del governo Letta, «in particolare sul decreto salva-Roma, e quelli del governo Monti», specifica Maurizio Gasparri, di FI, che ha aggiunto: «Avrei desiderato anche qualche riflessione sull’uso politico della giustizia. Anche il Presidente è stato sfiorato da ingiusti attacchi da parte della magistratura, e forse una riflessione a voce alta su questa degenerazione sarebbe stata opportuna».

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