Non ci sono più alibi, siamo davvero all’ultimo giro di giostra

18 Gen 2014 15:44 - di Silvano Moffa

In un Paese normale che i capi dei due maggiori partiti, di maggioranza e di opposizione, si incontrino e confrontino è del tutto scontato. Non è neppure una notizia. È la prassi. Soprattutto quando sono in gioco riforme sistemiche, quando bisogna tracciare le coordinate di una nuova architettura istituzionale, quando le regole di una volta sono superate e costituiscono un ostacolo sulla strada della modernizzazione dello Stato. Da noi, invece, accade il contrario. La normalità sul terreno politico è più invocata che praticata. Siamo prigionieri del passato. Come se una maledizione ci costringa inesorabilmente all’impotenza. Vittime consapevoli di veti incrociati , di orpelli ideologici, di sospetti reciproci, incrociamo sempre i guantoni per la sfida del secolo e poi ci lasciamo risucchiare nel vuoto del nulla. Affetti da quel male antico che si chiama “mito incapacitante”. Un male intriso di particolarismi, di interessi di parte, di spregiudicata indolenza a muovere le pedine , preoccupati dall’effetto domino del semplice movimento che si mette in moto. Non conta affatto che, fino a quel momento, nessuno, ma proprio nessuno, abbia potuto negare l’importanza del mettersi in gioco e abbia dichiarato ineludibile la svolta riformatrice. Viviamo di e in perenne transizione. Anzi, in una Transizione, con la T maiuscola. Perché, in barba al significato letterale del termine, da noi, in Italia, la Transizione sfida le leggi del tempo, si è trasformata in status, è l’unico elemento stabile , l’unica certezza di una longeva attitudine a resistere al cambiamento. Eppure, se c’è un dato che rileva nel vertice tra Renzi e Berlusconi  è proprio l’affannosa  ricerca di un bandolo per sbrogliare la ingarbugliata matassa in cui si è ingolfata la politica italiana. Sarà un accordo sulla legge elettorale o altro? E’ presto per dirlo. I precedenti  inducono alla cautela. Peraltro la partita elettorale rischia di trasformarsi in una mina esplosiva per le sorti del governo e la durata stessa della legislatura. Le ferite della scissione nel centrodestra e le piaghe aperte nel Pd dalle primarie per l’elezione del nuovo segretario, sono ancora troppo fresche e purulente. Eppure, i partiti – tutti i partiti, indistintamente – dovrebbero porre ascolto al diffuso malumore dei cittadini. Non  c’è sondaggio che non metta in guardia dallo scollament , dall’enorme calo di fiducia, dalla perdita di senso collettivo  avvertiti dalla gran parte dell’opinione pubblica nei confronti dello Stato e delle forze politiche. È un vento che travolge tutto e tutti. La crisi, come è persino ovvio, lo rende più impetuoso. Ma è nel profondo della coscienza collettiva che si è ormai procurato uno iato, una rottura, una divaricazione netta e difficilmente rimarginabile tra governati e classe dirigente. Per far fronte alla crisi  sono stati imposti agli italiani innumerevoli sacrifici. La loro capacità di resistenza e di tenuta è stata messa a dura prova. Ora, giustamente, imprese e famiglie chiedono  crescita e posti di lavoro. Ma le risposte non arrivano. Anche perché la matassa si è ulteriormente ingarbugliata.  E la Politica, da troppo tempo ormai, si è inabissata in un tunnel  inconsistente. Priva di idee, di mordente, di carico emotivo e progettuale è entrata in afasia. Nello scompaginamento dislocativo dei luoghi del potere  e nella colpevole frenesia di trovare un riscatto morale a fronte della devastazione di una dilagante corruzione, essa ha rinunciato persino a difendersi, lasciando marcire i capisaldi su cui poggiava la sua stessa dignità e la nobiltà di una missione. Anche in questo si scorgono le ragioni del conflitto che accompagna l’appuntamento di Renzi con Berlusconi.  Impressiona la netta sensazione che si proceda sull’orlo di un burrone. Chi per un verso chi per un altro, i due sanno che  troveranno molte mine nascoste lungo il sentiero. Prima di loro, ci sono stati altri che hanno provato a cambiare la marcia. A sinistra, ci hanno provato senza successo D’Alema, Prodi, Veltroni. A destra, Berlusconi.  A sinistra, ogni volta il fuoco amico ha fatto saltare il tavolo su cui si stava raggiungendo un pur minimo compromesso in materia di regole e di riforme costituzionali. A destra, quando non ci si è messo il fuoco amico, ci ha pensato il Cavaliere a creare momenti di tensione e di imbarazzo. Ora, però, non ci sono più alibi per nessuno. Siamo all’ultimo giro di giostra.

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