Paolo Onofri ha raggiunto in cielo il suo piccolo Tommy: ritratto di un papà che non si è mai arreso

15 Gen 2014 17:35 - di Sandro Forte

Le conseguenze dell’infarto dell’11 agosto 2008 mentre era in vacanza a Folgaria, in Trentino, che fin dall’inizio avevano dato poche speranze, hanno portato via l’altra notte, in una clinica di Fontanellato specializzata in coma neurovegetativi – ad un mese e mezzo dall’ottavo anniversario dell’uccisione del figlioletto Tommy – Paolo Onofri, 54 anni, sempre protettivo nei confronti della moglie Paola Pellinghelli, coraggiosa come lui nell’affrontare le tappe umane e giudiziarie di una tragedia che commosse l’Italia, e duro verso gli autori del rapimento.
Paolo Onofri ne ha passate tante, da quella funesta data del 2 marzo 2006, quando un gruppo di malviventi fece irruzione nella sua casa portandogli via il bimbo di 17 mesi. In poche ore passò dall’essere un padre di famiglia in pena a un sospetto malvivente interrogato per ore e ore. Qualcuno insinuò una pista satanica per via di un crocefisso che portava al collo e qualcuno lo accusò di pedopornografia per le immagini che gli furono trovate nel computer. Alto quasi due metri, indietreggiò solo quando i banditi puntarono la pistola alla testa di Tommy. I due malviventi simularono una rapina ma in realtà volevano portare via il bimbo. Quell’omone, legato mani e piedi, tenuto sotto controllo da uno dei due balordi, era con il viso schiacciato a terra quando vide i piedini di Tommy che venivano sfilati dal seggiolone. Provò poi, invano, a inseguire i rapitori. Ogni giorno lui e la moglie speravano di ricevere una telefonata o una comunicazione che dicesse loro che il piccolino era stato trovato. Ma non ci fu alcun contatto. Dopo ventinove terribili giorni, il primo aprile 2006 Tommy fu rinvenuto sul greto del torrente Enza. Fu fermato Mario Alessi, che confessò, incastrato da un’impronta digitale lasciata sul nastro adesivo per immobilizzare la famiglia Onofri al momento del rapimento. Il corpicino era stato abbandonato sotto un mucchio di paglia e sterco, con il visino infilato nel fango.
La vita di Onofri fu rivoltata come un guanto più e più volte. A partire da alcuni piccoli episodi precedenti al matrimonio che aveva portato alla nascita di Carlo Alberto. Padre e figlio erano molto legati ma le cose fra Paolo e la prima moglie non andavano bene, così arrivarono alla separazione. Poi Onofri conobbe Paola da cui ebbe prima Sebastiano e poi Tommaso, che aveva non pochi problemi di salute. Il piccolino infatti soffriva di attacchi di epilessia e già nella prima infanzia fu necessaria la somministrazione del Tegretol, lo sciroppo diventato tristemente famoso negli appelli che gli Onofri lanciarono ai rapitori. Onofri allora dirigeva un ufficio postale a Parma, e alle Poste, a San Prospero, lavorava anche la moglie Paola. Fu avanzata, ma fin da subito sembrò strana, anche l’ipotesi di un sequestro a scopo di estorsione per costringere il padre ad aprire il bunker dell’ufficio postale. Dopo la tragedia cominciò a star male. Iniziò sedute di psicoterapia di sostegno, assunse farmaci antidepressivi e ansiolitici, e poi le cure contro il diabete, secondo i medici aggravato dallo stress nervoso. Paolo Onofri non mancò ad una sola udienza del processo contro i rapitori del figlio: Mario Alessi, condannato all’ergastolo, la moglie Antonella Conserva a 24 anni e l’ex pugile Salvatore Raimondi a 20 anni di carcere. «Il perdono? Prematuro e quasi impossibile», disse poco dopo il funerale in un duomo gremito, rispedendo al mittente la richiesta di Raimondi.
Paolo Onofri conosceva l’assassino di Tommy: lo aveva fatto lavorare a casa sua come muratore e lo aveva persino pagato in anticipo perché il piccolo Giuseppe, figlio di Alessi, aveva avuto qualche problema di salute, aveva bisogno di visite e la famiglia non se la passava certo bene. Onofri ha sempre detto quello che pensava, anche al Comune di Parma da cui aspettava una risposta per mettere insieme un parco in un fazzoletto di terra del demanio, in riva al torrente Enza, dov’è stato ucciso e sepolto il piccolo Tommaso. Il parco si farà, gli hanno promesso. Oltre allo spazio verde intitolato al piccolino brutalmente ucciso, Onofri voleva incidere una compilation con tutte le canzoni che i grandi e i meno famosi della musica italiana hanno composto per Tommy e la sua vicenda. Da qui le amicizie con il cantante Luca Anceschi, con cui ha organizzato diversi concerti e iniziative, Povia, Michelangelo, Daniele Stefani e molti altri che si sono detti pronti a partecipare. In particolare Povia ha regalato agli Onofri una canzone intitolata “Due navi” che ha presentato in anteprima proprio ad un concerto nel giugno scorso. Onofri era molto legato anche a Fabri Fibra che ha dedicato “Potevi essere tu”, rap crudo e potente in cui riassume la vicenda di Tommaso. Nel suo ricordo i genitori hanno creato l’associazione “Tommy nel cuore”, che sostiene attività benefiche ma anche di assistenza psicologica e sociosanitaria ai bambini. Sul web c’è la foto sorridente di Tommy, tutto riccioli biondi. Nel forum tanti messaggi continuano a parlargli con affetto: dal giorno dell’infarto hanno parlato commossi anche al papà.

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