Renzi vuole il modello spagnolo per accelerare la fine del governo, Alfano lo accontenterà

17 Gen 2014 9:48 - di Mario Landolfi

Non è solo per un capriccio o per un improvviso attacco di esterofilia che Matteo Renzi si sta lasciando dolcemente contagiare dal modello spagnolo in materia di legge elettorale. Finora, il sistema di voto iberico è stato sponsorizzato apertamente dal solo Verdini. E si capisce: per Forza Italia le preferenze sono come l’aglio per i vampiri. Preferenza significa peso dell’eletto sul territorio e quindi sua scarsa propensione all’obbedienza acritica, due ingredienti considerati con fastidio e sospetto da Palazzo Grazioli. Il modello spagnolo, invece, le liste bloccate le salva, pur accorciandole. Insomma, un Porcellinum (o Verdinum) al posto del Porcellum. Ma la sostanza non cambierebbe: deputati e senatori continuerebbero ad essere nominati.

Le leggi elettorali sono attrezzi da lavoro per i partiti ma, politicamente parlando, sono più pericolose della nitroglicerina. Vanno maneggiate con cura. Renzi sembra stia facendo l’esatto contrario: minaccia, provoca e blandisce rispettivamente alleati, grillini e forzisti. Poiché è tutt’altro che sprovveduto, è chiaro che punta sulla “febbre spagnola” solo perché la ritiene la più idonea a far morire il governo, il suo vero scopo. Il Porcellinum-Verdinum, del resto, risulta indigesto a metà Parlamento, di sicuro a due dei tre partner di governo, il Ncd di Alfano e la sparuta pattuglia centrista raccolta intorno a Casini ed al ministro Mauro, ma non fa fare salti di gioia neppure alla vecchia guardia del Pd preoccupata di un sistema elettorale che l’ex-Rottamatore potrebbe saccheggiare a proprio piacimento per fidelizzare i gruppi parlamentari, in parte ad essa ancora legati.

E infine Letta, come si muoverà? Negli ultimi tempi il premier ha dovuto ingoiare più di un boccone amaro. Lui e Renzi non possono convivere in salsa agrodolce, uno al vertice del governo, l’altro a capo del Pd. Il meccanismo delle primarie non ammette diarchie e da quando Renzi è leader, lo spazio di manovra di Letta si è ridotto a vista d’occhio. Probabile, quindi, che il premier finisca per arrendersi davanti ad un Alfano obbligato a scommettere sulle elezioni anticipate pur di non finire rosolato sul barbecue spagnolo. In questo caso – Napolitano permettendo – si andrebbe a votare con la legge elettorale ritagliata dalla recente sentenza della Corte Costituzionale: proporzionale senza premio di maggioranza, soglia di sbarramento e preferenza. Una mezza schifezza, che però consentirebbe ad Alfano e non solo a lui di provare almeno a salvare la pelle. Neanche a Renzi piace. Ma poco importa. Ad interessargli non è il colore del gatto ma solo che il gatto acchiappi il topo, cioè Letta. I problemi per Renzi nascerebbero semmai la campagna elettorale quando con molta probabilità si troverà a vestire i panni del protagonista di nuove “larghe intese” con un Berlusconi ancora in sella. Che sia Palazzo Chigi l’obiettivo della manovra avvolgente del segretario del Pd, è svelato anche dai temi fortemente urticanti per gli alleati di governo – introduzione delle unioni gay e cancellazione della Bossi-Fini – imposti all’agenda del premier con la speranza di provocare l’incidente di frontiera.

Ma non è tutt’oro quel che luccica. Anzi, l’attivismo di Renzi sul modello spagnolo non è privo di rischi: il primo è quello di spaccare il suo stesso partito e le numerose astensioni (ben 35) registrate sulla sua relazione alla Direzione nazionale di ieri sembrano il classico campanello d’allarme, soprattutto se si considera che sulla legge elettorale il voto è segreto e che il ricordo dei 101 impallinatori di Prodi nella corsa al Quirinale è ancora troppo fresco; il secondo è quello di lanciare ad Alfano un insperato salvagente che lo  salverebbe dal limbo politico in cui si era ricacciato a seguito della scissione con Forza Italia. Lo capisce anche un bambino che la sovrapposizione tra riforma elettorale e temi “di pancia” come i matrimoni omosessuali e gli immigrati clandestini consentirebbe ad Alfano di staccare la spina all’esecutivo tra gli applausi dei cattolici e di gran parte del centrodestra.

Un bilancio a dir poco sconsolante per chi, come Renzi, si è prefisso l’obiettivo di utilizzare la leva della riforma elettorale per unire i suoi e scompaginare gli avversari.

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