Tra la rottamazione del Porcellum e i tentativi di rimpasto, il governo si disfa e l’Italia immiserisce
La bagarre è già incominciata. Il mese di gennaio se ne andrà tra la discussione sulla legge elettorale ed il rimpasto di governo. Su entrambe le questioni Renzi ha messo il cappello. Per riformare il Porcellum (sperabilmente prima che vengano rese note le motivazioni della Corte costituzionale) ha indicato il sistema spagnolo (piccoli collegi senza preferenze), il ritorno al Mattarellum e il doppio turno di collegio. Tutte e tre le ipotesi, com’è noto, sono gradite al Pd, ma non dispiacciono neppure a Forza Italia. Non a caso Berlusconi ha apprezzato il metodo renziano ed è disposto ad un accordo a patto che si vada a votare in primavera, insieme con le europee: ipotesi difficilmente praticabile. Se gli sarà negata questa possibilità il Cavaliere farà saltare tutto? E’ possibile. Tanto ha ben poco da perdere.
Hanno molto da perdere, invece, i ministri sia del Nuovo centrodestra che del Pd di osservanza bersaniana dal richiesto di rimpasto da parte della nuova dirigenza di Largo del Nazareno. I primi devono essere ridimensionati, così come i secondi per riequilibrare gli assetti governativi alla luce delle conclusioni delle assise piddine. Gli alfaniani tremano. Sul piede di guerra un paio, in particolare, che dovrebbero fare spazio a qualcuno di Scelta civica e dello stesso Pd essendosi la loro forza parlamentare ridimensionata dopo l’uscita dalla maggioranza di Forza Italia. Letta dovrebbe far quadrare il cerchio, ma non è detto che vi riesca. Piegherà, dunque, la testa di fronte alle imperiose richieste di Renzi? E’ probabile. Ma non è da escludere, in tal caso, che i contraccolpi si farebbero sentire. Non essendo il Ncd un partito ideologicamente strutturato, l’uscita di qualche ministro dall’esecutivo potrebbe indurre gli stessi al disimpegno o al ritorno all’ovile berlusconiano. Sarebbe un bel guaio per Alfano, non meno che per Letta stesso che teme le new entry almeno quanto l’ulteriore assottigliamento della sua maggioranza che in Senato può contare soltanto su sette voti sicuri di maggioranza.
Ci chiediamo: se lo scenario è questo, davvero si ritiene di poter fare una legge elettorale ex novo piuttosto che accontentarsi di un rabberciamento imposto dalla decisione della Consulta che non appagherà nessuno e soprattutto non eliminerà completamente le insufficienze rilevate per le quali la vigente è stata dichiarata incostituzionale? E c’è qualcuno che ancora si illude che il governo Letta – il governo più immobile della storia recente della Repubblica per quanto il premier dia prova di una sicurezza che fa un po’ pena a dire la verità – possa dare con questi chiari di luna gli impulsi necessari alle riforme istituzionali delle quali non s’intravede neppure l’ombra?
Il velleitarismo è la malattia infantile della politica italiana. In altri tempi – e di bui ne abbiamo conosciuti – l’esecutivo avrebbe chiaramente ammesso la sua inanità nel cimentarsi con problemi che non avrebbe potuto risolvere traendone le conseguenze. Invece, nel nome della stabilità, che assomiglia al rigor mortis, si fa finta di andare avanti (la pressione fiscale è aumentata: non facciamoci ingannare dalla lettura di tabelle tutte da interpretare, la disoccupazione è aumentata, l’incertezza di imprese e famiglie è cresciuta negli ultimi mesi come attestano indicatori meno sofisticati, ma più veritieri: le economie aziendali ed i portafogli dei singoli). E magari un rimpastino (con quali conseguenze è facile immaginare) si farà e forse si proverà pure a mettere in piedi una legge elettorale della quale nessuno si intesterà la paternità.
Passerà, dunque, anche gennaio. E così gli altri mesi. Fino a quando, per inerzia, non ci manderanno a votare con la quasi certezze che nulla, neppure dopo il voto, si aggiusterà. Se il 2013 è stato un anno orribile, il 2014 non sappiamo proprio come definirlo.