Achtung Renzi! Un “forzista” su due è attratto dal giovane premier

28 Feb 2014 17:21 - di Mario Landolfi

Secondo un sondaggio effettuato da Ixè per la trasmissione Agorà, il gradimento popolare su Renzi sarebbe schizzato dal 52 al 62 per cento. Un dato eccellente. Ma politicamente un’inezia se confrontato a quello – sempre della Ixè – che vuole un elettore forzista su due attratto dall’orbita del giovane premier, considerato ormai dagli intervistati una sorta di reincarnazione del Cavaliere. I sondaggi non sono il Vangelo, ma è indubbio che ove mai confermata da un voto popolare, la rilevazione demoscopica equivarrebbe allo scioglimento dell’iceberg elettorale del centrodestra.

Fino ad oggi il nostro bipolarismo ha registrato solo lievi smottamenti. Quel che segnala il sondaggio somiglia invece ad un’autentica valanga. C’è stato – è vero – l’esplosione del M5S giusto un anno fa, ma è altrettanto vero che i grillini si sono incuneati tra i due poli  impedendone la reciproca contaminazione elettorale. Al contrario, il sondaggio odierno ci dice che lo zoccolo duro di Forza Italia – vale a dire la quota di elettorato legata esclusivamente al Cavaliere – percepisce la leadership renziana come la naturale prosecuzione di quella berlusconiana. Al momento è una simpatia istintiva. Nulla, tuttavia, può impedirle di trasformarsi in fiducia e addirittura in consenso, soprattutto se Renzi governa bene e se l’astro di Berlusconi si affievolisce fino a lasciare il centrodestra privo di riferimenti. Non un banale travaso di voti bensì l’avvio di una vera rivoluzione copernicana all’interno del primitivo bipolarismo italiano, con la quota più identitaria del popolo forzista a consegnare la palma della vittoria elettorale al capo di quel Pd considerato solo ieri il legittimo erede della tradizione del Pci-Pds-Ds.

È ancora presto per sputare sentenze. Tuttavia, la tendenza indicata da Ixè sembra annunciare una fase nuova della politica italiana dai contorni e dalle basi però ancora sfumate. Una fase che ancor più dell’attuale esalta il valore della leadership quale logico corollario della personalizzazione della politica, magistralmente interpretata proprio da Berlusconi. Resta da chiederci quale bipolarismo potrà mai attecchire in un sistema dove le identità, le appartenenze e le culture di riferimento somigliano sempre più a fuochi fatui privi ormai di qualsiasi forza evocativa. Non che l’attuale sprigioni un particolare appeal, specie in quest’ultimo scampolo di Seconda Repubblica, ma almeno ha avuto il pregio di utilizzare la forza delle rispettive leadership – Berlusconi e Prodi – per ricondurre nei loro alvei naturali quel che la feroce opzione internazionale Est-Ovest imposta dalla Guerra Fredda, aveva artificiosamente raggrumato nel lungo dopoguerra italiano.

Il secondo indizio dell’esigenza di una diversa declinazione del bipolarismo è evidenziato dallo stesso sondaggio per il quale i 2/3 degli elettori grillini auspicano il dialogo con il neopremier. È chiaro che molto degli scenari evolutivi dipenderanno dalle performance del governo. Se Renzi fallirà, saranno le restanti due leadership – Berlusconi e Grillo – a contendersi il primato all’interno del bipolarismo. Se avrà successo, ricaverà forza e tempo per ridurne fortemente il richiamo presso i rispettivi elettori. L’ultimo ventennio ci ha abituati ad un centrodestra dotato di una leadership indiscussa ed un centrosinistra poggiante su una alquanto precaria. Ma è uno schema che l’avvento di Renzi sembra destinato a capovolgere.

 

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