“Bella ciao”, Giampaolo Pansa rivela nuovi scheletri nell’armadio della resistenza comunista

7 Feb 2014 19:46 - di Corrado Vitale

L’Anpi già sarà sul piede di guerra. E polemiche furiose saranno assai probabili fin dai prossimi giorni. Il nuovo volume di Giampaolo Pansa, in uscita nelle librerie, si presenta con un titolo decisamente provocatorio: Bella ciao – Controstoria della resistenza (Rizzoli ed.).E il contenuto non è certo da meno, perché la sua lettura risulterà assai urticante per le vestali dell’antifascismo duro e puro. Per antifascismo duro e puro non è da intendere quello democratico, sia d’ispirazione liberale sia cattolica, ma quello di marca comunista; che è riuscito a lungo  (complice anche la “timidezza” dei moderati) a esercitare la sua egemonia ideologica sulla memoria della resistenza, trasformando la resistenza stessa in mito (come scrisse Romolo Gobbi in un dissacrante pamphlet uscito una ventina di anni fa) e fornendo al vecchio Pci una potente arma di pressione politica (come fu drammaticamente palese dai fatti di Genova del 1960 in poi). Ebbene, Pansa strappa il velo “mitologico” che ancor oggi circonda le formazioni partigiane comuniste, nonostante l’abbondante letteratura che in tutti questi ultimi vent’anni ha demistificato le figure di Togliatti, Secchia, Longo e dei loro numerosi seguaci.

Un punto che sicuramente farà arrabbiare le vestali di cui sopra è la spiegazione dell’egemonia comunista sulla resistenza: questa  non fu ottenuta solo grazie alla migliore organizzazione politico militare, ma anche e soprattutto attraverso la maggiore spregiudicatezza, il maggiore cinismo e, in molti casi, la maggiore ferocia delle Brigate Garibaldi e dei loro capi. Una ferocia – sia detto chiaramente – che si rivolse, in molti casi, anche contro i partigiani non comunisti, quei partigiani, per l’esattezza, che avevano la disavventura di intralciare, più o meno consapevolmente, i disegni politici dei capi delle formazioni con la stella rossa sul berretto. Pansa rievoca ad esempio la vicenda degli “spagnoli” , cioè dei reduci comunisti della guerra di Spagna: gente dura, brutale e fantatica, che non esitava a eliminare senza pietà chiunque si ponesse sulla loro strada.

Un altro scheletro nell’armadio del Pci è quello dei Gap, i gruppi che agivano nelle città con metodi terroristici; e il cui obiettivo primario era quello di rendere ancora più crudele la guerra civile. Non per niente i bersagli principali dei Gap erano i civili che avevano aderito alla Rsi. E ciò affinché ogni assassinio fosse il preludio di una spirale di sangue, così che le “colombe” di entrambi schieramenti, laddove non erano eliminate, fossero sempre più isolate. Vale la pena ricordare che Giovanni Gentile fu assassinato a Firenze proprio dai Gap. Così Pansa riassume l’agghiacciante schema gappista: «Un attentato, una rappresaglia nemica. Un nuovo attentato, una rappresaglia più dura. Un terzo attentato, una rappresaglia ancora più aspra. E così via, con una catena senza fine che aveva un solo risultato: allargare l’incendio della guerra civile e spingere alla lotta chi ne voleva restare lontano». La “controstoria” di Pansa è, più esattamente, una storia celata e strappata. Una storia che deve però tornare alla luce. Perché le divisioni e le lacerazioni del presente sono anche un po’ figlie delle mistificazioni e delle rimozioni avvenute nel passato.

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