Cinquant’anni fa lo “sbarco” negli Stati Uniti: ed è ancora Beatlemania
In America avrebbero voluto diventare «più famosi di Elvis». Quealche tempo dopo il loro fortunatissimo esordio negli States, John Lennon avrebbe detto che i “Fab Four” erano ormai «più famosi di Gesù». Oggi, a cinquant’anni da quello “sbarco” americano, i Beatles ritornano sulle loro orme, a quel debutto a stelle e strisce che avrebbe fatto sconfinare oltre l’immaginabile il successo di un fenomeno di costume prima ancora che musicale. Protagonisti della scena a 360 gradi che – primati e facile apologia a parte – hanno fatto davvero epoca, tanto che ancora oggi è difficile segnare con certezza una linea di confine tra il loro successo rock e i condizionamenti sociali che attraverso di esso hanno esercitato – diretti o indiretti che fossero – nella moda, nella pop art, nei media. Un fenomeno di comunicazione di massa di proporzioni mondiali, prima ancora che una band di artisti internazionalmente celebri. Tanto che oggi, a distanza di vari decenni dal loro scioglimento ufficiale, e dopo la morte di due dei quattro componenti, i Beatles contano ancora su un enorme seguito popolare, oltre che su una sublimazione critica indiscussa e indiscutibile.
Del resto il loro trionfo negli anni Sessanta si inseriva in un clima di evoluzione rivoluzionaria con loro parte integrante e magnificazione di quel processo. Non è un caso allora se John Lennon, proprio a questo proposito, disse: «Eravamo tutti nella stessa barca: una barca che andava alla scoperta del Nuovo Mondo. I Beatles erano di vedetta». E in avanscoperta al tempo stesso, verrebbe da aggiungere. Così, quando i “quattro capelloni di Liverpool” debuttarono all’Ed Sullivan Show, (il Musichiere americano), palcoscenico dei talenti musicali nell’America del boom, «John non riusciva a capacitarsi che si trovavano nello stesso set occupato prima di loro da Billy Holly e i Crickets», ha rievocato uno dei tecnici di scena di allora ai margini della registrazione del maxi-concerto celebrativo che andrà in onda domenica, alla stessa ora, mezzo secolo dopo della prima apparizione Usa degli “scarafaggi inglesi”, davanti a 700 fan e ad una audience tv di 73 milioni di persone. Quel loro esordio americano l’inizio della British Invasion, l’imput che fece voltare pagina a una nazione ancora sotto shock per l’assassinio del presidente Kennedy a Dallas. E fu amore al primo ascolto: tanto che, appena un mese dopo il loro arrivo, nell’aprile 1964, i Beatles svettavano ai primi cinque posti della classifica di Billboard.
Da quel momento in poi sarebbe stata solo una escalation continua, in nome e per conto della quale i quattro capelloni inglesi riempirono i teatri, le arene e gli stadi più prestigiosi: la Beatlemania, con un contagio virale, si era endemizzata dall’Inghilterra all’America, e in tutto al mondo. Oggi, quella febbre è scesa, ma non è passata. Per questo la blasonata platea è tornata a commuoversi al maxi-concerto celebrativo della Cbs – la stessa rete che mandava in scena Ed Sullivan certificando potenzialità e valori aggiunti delle nuove star della musica – che ha avuto tra gli ospiti Tom Petty, Tom Hanks, Rita Wilson, Jeff Bridges, Sean Penn, Johnny Depp, LL Cool J, Eric Idle, Kate Beckinsale, Peter Frampton and Steve Lukather, Yoko Ono e Olivia Harrison, le vedove di John Lennon e George Harrison. Sul palco, a tenere alta la bandiera dell’intramontabile mito Beatles, Paul McCartney e Ringo Starr, tornati sulle note dei loro celebri successi, da Yellow Submarine a Don’t Let Me Down, culminati nel gran finale di Hey Jude. «Che serata», ha tweettato Ringo dopo il concerto. E lo è stata davvero.