Dieci mesi al governo sotto gli assalti di Renzi. E alla fine l’ambizione prevalse sulle pratiche zen
L’ultimo tweet da premier di Enrico Letta causa già profondi dubbi esegetici. “Ogni giorno come se fosse l’ultimo”. Si tratta di Seneca o di Vasco Rossi (dalla canzone Sally)?. Le analogie possibili sono numerose, si può scomodare persino il Giorgio Almirante del “vivi come se dovessi morire subito, pensa come se non dovessi morire mai”. Ma tra lo stoicismo e il vivere pericolosamente l’esistenza politica si può impaludare nell’immobilità del galleggiamento. Anche se a suon di citazioni sia Letta che il suo pugnalatore Matteo-Bruto tentano di indorare la pillola della crisi extraparlamentare. E in effetti i politici della prima Repubblica facevano meno citazioni, non cinguettavano sul web e si pugnalavano l’un l’altro senza scomodare citazioni hollywoodiane.
È durato meno di un anno, il governo di Enrico decollato nell’aprile del 2013 quando Renzi cinguettava: “faccio il tifo per uno di Pisa, pensate un po’…”. E il pisano, infatti, ha provato a fidarsi e non gli ha detto bene. Infatti, quando Letta a maggio annunciava la sospensione della rata dell’Imu, il fiorentino velenoso commentava: “È una cambiale pagata all’accordo con Berlusconi”. Prime avvisaglie di come i duellanti avrebbero affrontato una difficile convivenza. Quindi a Letta piombava addosso il caso di Josefa Idem e subito dopo quello di Alma Shalabayeva e, dulcis in fundo, la sentenza di condanna per frode fiscale nei confronti di Silvio Berlusconi. Letta cercò di cavarsela separando le sorti del suo governo dagli atti della magistratura ma le nubi che si addensavano su Palazzo Chigi non si diradarono. Quando prova a fare il duro – “Non c’ho scritto Jo Condor” – nel Pdl si prepara la scissione. Enrico sopravviverà grazie ai ministri alfaniani. Ecco che a novembre il premier deve fronteggiare un’altra figuraccia, quella legata al caso di Annamaria Cancellieri. E gli avvertimenti di Renzi si fanno sempre più minacciosi: a fine novembre ammonisce Letta, “la nostra pazienza è al limite”. Arrivano quindi in rapida successione tre scossoni al governo dai quali Letta non riuscirà a riprendersi: la decadenza di Berlusconi (27 novembre), la Consulta che dichiara illegittima la legge elettorale (4 dicembre), la vittoria alle primarie di Matteo Renzi (8 dicembre). Siamo alle ultime battute anche se Letta, che può vantare qualche buona performance all’estero, arriva a profetizzare che mangerà il panettone anche nel 2014. Sbagliato. Giusto il tempo di assistere al declino d’immagine della ministra De Girolamo che arriva la stoccata finale da Renzi. “Chi vuole venire al posto mio dica cosa vuole fare”, tuona Letta. “Ciao Enrico”, gli risponde Renzi. Ogni giorno come se fosse l’ultimo. Una faticaccia per il premier che potrebbe insegnare “pratiche zen”. E ora non gli resta che l’atarassia. Letta si è affiato alla massima zen: aggirare gli ostacoli, anziché affrontarli. Renzi gli ha contrapposto l’elogio, e la pratica, dell’ambizione smisurata. E ha vinto.