Finora Renzi non ha sbagliato una sola mossa. Ma il ballo vero comincia ora
Piace vincere facile a Renzi. Tra lui e Letta non c’è mai stata partita. Troppo lineare e prevedibile la traiettoria del premier dimissionario per poter impensierire l’altro duellante, che si è invece rivelato abile e spregiudicato oltre ogni previsione. Renzi ha dapprima assegnato i compiti a Letta mettendolo a sgobbare su un fantomatico “contratto di governo” che non hai mai visto la luce, poi ha aperto a Berlusconi lasciando intravedere la propria disponibilità a fornicare con lui sulle riforme, quindi ha preso a pretesto l’impianto della nuova legge elettorale per consultare gli altri partiti, in realtà per isolare il premier dalla sua stessa maggioranza. Infine, lo ha additato come presidente di un governicchio in grado di durare sì e no pochi mesi presentando se stesso come l’unico capace di occupare tutta la legislatura. Musica celestiale per le orecchie dei parlamentari e soprattutto di quei partiti, tipo il Ncd, che di tempo hanno bisogno come l’aria. Il tutto, condito con dichiarazioni assolutamente rassicuranti circa la propria volontà di non varcare mai da premier il portone di Palazzo Chigi privo di una consacrazione popolare.
Il bello però viene ora. Renzi ha deciso di caricarsi sulle spalle il peso non lieve di responsabilità e di speranzose attese e ora non può deludere. Al varco lo attendono settori come Confindustria, decisivi nell’opera di sfiancamento di Letta. Il primo banco di prova sarà la natura della maggioranza. Il governo dimissionario era figlio del pareggio elettorale, dell’indisponibilità grillina ad intendersi con il Pd di Bersani e dell’emergenza economica. Più o meno lo stesso contesto attuale al netto della decisione dei “diversamente berlusconiani” di rompere con il Cavaliere deciso a dichiarare finite le “larghe intese” in segno di ritorsione per la condanna subita. Renzi sa che uno scarto rispetto al suo predecessore allontanerebbe il sospetto di aver ordito una sordida manfrina di palazzo al solo scopo di occuparne il posto. Ma i numeri al Senato non sono dalla sua parte ed il peso determinante di Alfano gli impedisce di spostare a sinistra il baricentro della maggioranza con l’innesto di vendoliani scalpitanti e grillini dissidenti. Il secondo sarà invece la composizione del governo, a cominciare dalla qualità e dalla quantità dei ministri. Una squadra snella e politicamente non ortodossa rispetto alle logiche della bottega di partito, sarebbe un buon inizio. Ma sarà la casella dell’Economia la vera cartina di tornasole della discontinuità. Chi la occuperà dovrà interrompere lo schema improntato esclusivamente ad austerity finanziaria imposto dalla Germania e farsi carico delle condizioni drammatiche in cui versa l’economia reale, quella delle fabbriche, della forza lavoro e dei libri mastri. Infine, le nomine pubbliche di prossima scadenza. Renzi deve premiare manager che abbiano alto e chiaro il senso di una grande missione nazionale e non considerare quel che resta dei nostri gioielli di famiglia come bottino di guerra, tanto più che di guerre lui non ne ha combattute. Ha vinto le primarie, certo, ma vi ha partecipato solo un terzo degli elettori del Pd. Ed ha vinto il duello con Letta, che però impugnava solo una spada di legno. Renzi, insomma, è di fronte ad un bivio: o dimostra con atti e fatti concludenti che la politica ha trovato un vero leader e le istituzioni un sicuro statista oppure si avvierà ad essere ricordato come una delle tante meteore che illuminano la notte, ma solo per un istante.