I marò rompono il silenzio: «Ma quali terroristi, siamo innocenti e addolorati per i pescatori morti…»

6 Feb 2014 11:59 - di Redazione

Usi obbedir, tacendo. Va bene. Ma non “tacendo morir”. Per mesi Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono stati in silenzio. Hanno sopportato il peso di un’accusa grave e infamante come un duplice omicidio, che non hanno mai compiuto. Hanno sopportato, fieri nella loro divisa della Marina militare italiana, di essere trascinati da una parte all’altra dell’India, da un tribunale all’altro, come fossero scimmie ammaestrate, con il solito codazzo di poliziotti, funzionari e militari indiani impettiti nella loro tronfia convinzione di impersonare al meglio gli insegnamenti impartiti dai vecchi colonialisti inglesi. Ma ora basta.
Salvatore e Massimiliano si ribellano a questo tira e molla del governo indiano, a questo squallido e sottile gioco di logoramento psicologico, a questa incapacità del governo di New Delhi di stare al mondo fra i grandi, di gestire civilmente le regole internazionali di convivenza fra le nazioni.
Di fronte ai giornalisti venuti a New Delhi per ascoltarli, i due fucilieri di Marina del 2° Reggimento San Marco sbottano: «Ci dispiace per la perdita di due vite umane, ma non ci sentiamo assolutamente responsabili. E’ un dispiacere umano ma siamo innocenti», dice Salvatore Girone. «E’ un’accusa che ci fa molto male non solo come militari, ma anche come genitori e uomini – rincara la dose Massimiliano Latorre, rispondendo a una specifica domanda sulla possibile applicazione di una legge antiterrorismo, la cosiddetta Sua Act, al loro caso – Come militare professionista italiano che combatte la pirateria questo mi rammarica molto».
«Siamo cresciuti in due città di mare e noi stessi siamo anche pescatori, anche noi, come loro, siamo uomini di mare», aggiungono i due militari italiani riferendosi ai due pescatori del Kerala, Ajesh Pink e Valentine, rimasti uccisi, il 15 febbraio 2012, nel Mar Arabico, al largo del porto di Kochi, sulle coste sud dell’India, da una raffica di colpi che, ad oggi, ancora non si sa realmente chi ha sparato.
In giudicato non c’è solo la responsabilità dei due militari italiani del Nucleo Militare di Protezione imbarcati sulla petroliera Enrica Lexie in funzione di team antipirateria che si sono sempre professati assolutamente innocenti ma, anche, la posizione del mercantile al momento dell’incidente: secondo l’Italia, la Enrica Lexie con a bordo il team di fucilieri si trovava a circa 30 miglia a ovest dalla costa meridionale indiana e, quindi, in acque internazionali, secondo le autorità indiane, viceversa, l’incidente è avvenuto a circa 20,5 miglia nautiche dalla costa del Kerala e, quindi, nella cosiddetta “fascia contigua” che si estende fino a 24 miglia dalla linea di base della costa. Una differenza sostanziale per due motivi. Primo, perché se la petroliera con a bordo i militari italiani si trovava effettivamente in acque internazionali, la giurisdizione del caso diventa italiana, come è previsto dalle norme internazionali e come è stato peraltro ribadito dal G8 di Washington che, nell’aprile del 2012, ha riaffermato, nel suo documento conclusivo, il principio fondamentale che attribuisce alla bandiera delle navi il diritto di giurisdizione in caso di incidente in acque internazionali. Secondo: se la Enrica Lexie non si trovava dove, sostiene il governo indiano, c’è stato lo scontro a fuoco, si rafforza lo scenario, già tratteggiato, di un’altra nave che sarebbe stata coinvolta nell’incidente al posto della Enrica Lexie.
Secondo un rapporto della International Maritime Organization, infatti, poche ore dopo il presunto incidente fra la Enrica Lexie e il peschereccio indiano, un mercantile greco, la Olympic Flair, molto simile, per colore e stazza, alla Enrica Lexie, che aveva spento il sistema automatico di rilevamento Ais, denunciò un attacco di pirati mentre si trovava a dieci miglia dal porto di Kochi. Uno scenario che scagionerebbe completamente i due fucilieri di Marina italiani.
Nell’attesa di una decisione sul destino dei due fucilieri – lunedì, alla prossima udienza, la Corte Suprema indiana dovrà chiarire definitivamente la posizione del governo di New Delhi in merito all’utilizzo della legge antiterrorismo – decisione che tarda a venire per i contrasti, in seno al governo indiano, fra il ministro degli Interni da una parte e i ministri degli Esteri e della Giustizia dall’altra, anche in Italia emergono spaccature e divergenze all’interno dell’esecutivo sulla linea da tenere per riportare a casa i marò.
La titolare della Farnesina, Emma Bonino, si inalbera per l’uscita fuori programma del collega di governo, il ministro della Difesa, Mario Mauro, che ha
minacciato il ritiro dalle missioni antipirateria multilaterali: «prenderemo delle decisioni come squadra, presieduta del premier, che saranno seguite da tutti – dice l’esponente radicale ai giornalisti che l’anno incontrata a Gibuti – Bisogna agire in modo coerente e disciplinato con messaggi unici».

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