Kiev, scatta il mandato di cattura contro Ianukovich. E Mosca reagisce con rabbia alla primavera Ucraina

24 Feb 2014 19:38 - di Redazione

L’ultima volta che l’hanno visto era a Balaklava, in Crimea. Viktor Ianukovich, il presidente ucraino deposto, è in fuga, inseguito da un mandato di cattura spiccato contro di lui con l’accusa di uccisione di massa di civili. «Questa mattina – ha svelato su Facebook il ministro dell’Interno ucraino ad interim Arsen Avakov – è stata aperta un’inchiesta per uccisioni di massa di civili. Ianukovich e altri funzionari sono stati inseriti nella lista dei ricercati». Le immagini di una telecamera di videosorveglianza rilanciate da una tv locale mostrano Ianukovic in fuga, in elicottero, dalla sua villa: di notte, aiutato da alcune persone, si imbarca su un elicottero lasciando a terra chi lo ha portato fino a lì.
E, intanto, mentre l’opposizione cerca di organizzarsi in maniera istituzionale e la comunità internazionale promette aiuti, fiducia e affiancamento nella tortuosa strada verso l’Europa e verso la ricostruzione istituzionale, si registra, immancabile, la rabbiosa reazione russa.
«La Russia – è l’avvertimento lanciato dal ministro dell’Economia russo, Alexei Oulioukaev, in un’intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt – aumenterà i dazi doganali sulle importazioni provenienti dall’Ucraina se Kiev si avvicinerà all’Unione europea. Noi diciamo all’Ucraina: avete il diritto, ovviamente, di scegliere la vostra strada ma in questo caso saremo costretti ad aumentare le tariffe sulle importazioni».
Con una serie di dichiarazioni crescenti e irate, anche il premier russo Dimitri Medvedev manda i suoi messaggi in codice. E notifica che «la legittimità di alcuni organi istituzionali» dell’Ucraina «suscita forti dubbi», avvertendo che Mosca non intende lasciar passare così la cosa: la situazione in Ucraina «rappresenta una minaccia per i nostri interessi e per la vita dei nostri cittadini» spiegando le ragioni del richiamo dell’ambasciatore russo a Kiev.
Mosca alza ancora i toni anche nei confronti del governo “rivoluzionario” salito al potere in Ucraina: a Kiev – denuncia un comunicato ufficiale – stanno emergendo tendenze «dittatoriali» e «metodi terroristici». «Sentiamo – scrive il ministero degli Esteri russo denunciando «misure anti-russe” – inviti a bandire la lingua russa, eliminare partiti e organizzazioni, e chiudere le testate giornalistiche dissenzienti». Quanto all’opposizione, il premier russo è ancora più tranchant: «la gente armata e a volto coperto non è un partner con cui poter dialogare», a Kiev «non c’è nessuno con cui trattare».
La replica, però, non si fa attendere. Secondo Ghennadi Moskal, un politico del partito di Timoshenko, Patria, che è già stato vice ministro dell’Interno, dietro la repressione violenta della protesta a Kiev ci sarebbe lo zampino di Mosca. Moskal sostiene che siano stati scoperti alcuni documenti che proverebbero l’assistenza di funzionari russi nello svolgimento dell’operazione da parte della polizia: il nome in codice dell’operazione, rivela l’ex-vice ministro dell’Interno, era “Onda e boomerang“ e aveva, quali obiettivi principali, quelli di disperdere i manifestanti e prendere il controllo del quartier generale degli insorti nel palazzo dei sindacati, che si affaccia su piazza Maidan, cuore della protesta antigovernativa.
Stando ai documenti che cita Moskal – e la cui autenticità non è stata provata -, i cecchini in via Institutska, una via che dal Maidan porta alla zona dei palazzi del potere, erano soldati delle unità speciali del ministero dell’Interno comandati da un colonnello. A dare l’ordine di usare le armi sarebbe stato l’ormai ex-ministro dell’Interno Vitali Zakharcenko, mentre ad assistere i militari ucraini sarebbe stato l’ex primo vice comandante dei servizi speciali dell’esercito russo, il famigerato Gru, che in quei giorni avrebbe alloggiato all’Hotel Kiev, nel centro della capitale, a spese dei servizi segreti ucraini, lo Sbu.
Intanto, mentre si fanno i conti di quanto si dovrà mettere sul piatto per far ripartire l’Ucraina – il ministro delle Finanze ad interim, Iuri Kolobov, stima 35 miliardi di dollari in due anni e propone una conferenza internazionale dei finanziatori per risolvere la situazione mentre il presidente della Commissione Affari Esteri del parlamento Ue, Elmar Brok, assicura che la Comunità Europea è pronta a sostenere l’Ucraina con un finanziamento da 20 miliardi di euro, dopo la formazione del nuovo governo, accompagnato dalla firma di un accordo di associazione e libero scambio con l’Unione europea – gli ucraini provano già, sulla propria pelle, quella che è l’Europa, ovvero l’Europa dei mercati e delle banche, aldilà delle suggestioni e dei sentimentalismi: se da un lato la Borsa di Kiev rimbalza, dopo la fuga di Ianukovich, con un rialzo del 10,50 per cento, dall’altro sul Paese arrivano in picchiata approfittando del calo dei prezzi, diversi investitori, come Greylock Capital Management, che corrono ad acquistare bond ucraini: con la politica dei tassi bassi della Fed, spiegano gli analisti, «chi vuole preservare la sua ricchezza deve assumersi dei rischi». E quale rischio migliore di un paese che cerca confusamente il suo orizzonte a poche ore da una rivoluzione? Non c’è altro da dire: benvenuta in Europa, Ucraina.

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