L’endorsement di Casini è una mina piazzata sotto la legge elettorale
La mossa di riavvicinamento di Casini a Berlusconi ha fatto scattare l’allarme nel Pd. Stando ai sondaggi, il centrodestra riuscirebbe a scavallare la soglia del 37 per cento e ad aggiudicarsi le prossime elezioni politiche, le prime celebrate con il Porcellinum fresco di sbarco a Montecitorio. Sono simulazioni, niente di più. Ma sono bastate a far emergere i malumori e le diffidenze della vecchia guardia del Pd nei confronti di Renzi. Il dissenso non è ancora esplicito, ma a Largo del Nazareno si sprecano consigli e moniti all’indirizzo del neosegretario a guardarsi dal Cavaliere. La preoccupazione – riecheggiata nelle dichiarazioni di Tabacci e nel silenzio ostile della Bindi – sta tutta nello spread tra la capacità aggregativa di Berlusconi e quella di Renzi, dietro il quale si fa sempre più corposa e reale la sagoma di Veltroni, protagonista di una rovinosa disfida contro l’esordiente (e vittorioso) Pdl di Berlusconi e Fini. Era il 2008 e Uòlter tentò di far dimenticare il disastro della maggioranza prodiana travolta dai veti e dalle ripicche dei vari Rossi e Turigliatto inventandosi una suggestiva “vocazione maggioritaria” che però non oltrepassò il 33 per cento e che servì solo a spalancare le porte del Parlamento alla pattuglia dipietrista.
Renzi è fortemente indiziato di voler ripercorrere la stessa strada per dare spolvero alla forza della propria leadership. E la sua intervista odierna a Repubblica sembra dare corpo a questi sospetti. Al momento può apparire una strategia suicida anche perché il centrosinistra è strutturalmente minoritario nei confronti del suo tradizionale competitore. Ma è possibile che il segretario del Pd punti ad un obiettivo di medio-lungo periodo, nel cui orizzonte rientra principalmente una strategia fondata sulla concorrenza elettorale al M5S di Grillo. È un obiettivo ambizioso che, tuttavia, per funzionare non può risultare “inquinato” da tentativi di commistione con partiti e partitini, soprattutto di centro. La campagna tra “vecchio” e “nuovo” si gioca anche lungo la credibilità delle alleanze. E tra un Renzi che dovesse far perno sui contenuti piuttosto che sulle coalizioni ed un Berlusconi attardato nella riproposizione di una minestrina riscaldata, è presumibile che i settori più mobili dell’elettorato grillino finirebbero per premiare il primo e non il secondo.
Sia come sia, non si vota domani ed ogni previsione potrebbe far crepare l’astrologo. È invece nel novero degli accadimenti reali il ritorno di Casini nell’alveo del centrodestra, da lui giustificato con la necessità di opporre popolarismo a populismo. Giusto, peccato che solo fino a ieri sosteneva che tra il re dei populisti fosse proprio Berlusconi. Tranne qualche voce isolata, Forza Italia è già partito il plauso corale all’indirizzo del “caro Pier”. Ma è meglio non illudersi troppo: i sistemi elettorali non surrogano la politica. Casini nel centrodestra è oggi un sicuro additivo in termini aritmetici. Tutto da dimostrare, però, che lo sia anche domani in termini politici. Al momento – almeno a giudicare dalle stizzite reazioni di sinistra e dintorni – il vero effetto provocato dalla sua scelta sembra quasi risolversi in un implicito invito a sabotare l’ipotesi di riforma elettorale o alzando ancora l’asticella per l’accesso al premio di maggioranza o scorporando dal risultato della coalizione i voti dei partiti rimasti sotto il 4,5 per cento. Insomma, in un modo o nell’altro non è difficile prevedere che da domani l’obiettivo della sinistra Pd (e non solo) consisterà nel portare Berlusconi al ballottaggio. E dopo la fuga per vittoria di Casini, a Renzi non conviene ostacolarla.