Marò, l’Italia chiederà l’arbitrato internazionale per stanare l’Onu
Non vorrebbero mai essersi cacciati in questo vicolo cieco. E ora il problema è come uscirne. Non come uscirne con onore, ma proprio come uscirne. In queste ore il governo indiano, in attesa delle prossime decisioni della Corte suprema indiana, sta studiando con una certa e non dissimulata preoccupazione tutte le vie d’uscita per non perdere (troppo) la faccia di fronte alla comunità internazionale che guarda con distacco (ma non con disinteresse) alla vicenda dei due marò detenuti in India.
Dopo le caute parole di Ban Ki-Moon – «è una questione bilaterale», dunque fra l’Italia e l’India e nessun altro – e la conseguente irritazione del governo italiano e del Parlamento in blocco, si è capito che è propro lì, all’Onu, che c’è la soluzione e il capo di tutta l’intricata matassa.
La Ue ha detto sì, la Nato ha detto sì, l’Onu ha detto nì. E questo nicchiare è il segno che se si (s)muove l’Onu è cosa fatta.
Per questo ieri dalla lunga riunione della task force interministeriale dedicata al tema presieduta da Enrico Letta e alla quale hanno partecipato il ministro della Difesa Mario Mauro, i ministri degli Affari Esteri, Emma Bonino, della Giustizia, Annamaria Cancellieri, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, e l’inviato speciale, Staffan de Mistura, è emersa l’opzione dell’arbitrato internazionale facendo soprattutto leva sul fatto che l’incidente è accaduto in acque internazionali. E’ questo l’assunto sulla base del quale il governo italiano si è convinto che l’Onu non potrà tirarsi indietro.
D’altra parte non si è tirata indietro Catherine Ashton alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la politica di Sicurezza che ieri, incontrando al palazzo di Vetro proprio Ban Ki-moon ha espresso tutta la sua preoccupazione per la vicenda dei marò: «La posizione della Ue è molto chiara: siamo profondamente preoccupati per la vicenda dei due marò, e in particolare per il rischio che vengano incriminati in base alla legge antiterrorismo». Né si è tirato indietro Anders Fogh Rasmussen, il segretario generale della Nato che, assieme alla collega britannica, ha manifestato preoccupazione per l’eventuale ricorso da parte indiana alla legge sulla sicurezza marittima. Avvalersi di quella norma per giudicare i due fucilieri, sottolinea il governo italiano, «avrebbe conseguenze negative nei rapporti con l’India e nella lotta globale contro la pirateria oltre a ledere la dignità dell’Italia e dei marò».
Nel corso della riunione interministeriale si è fatto il punto sugli ultimi sviluppi della vicenda, anche in relazione alle posizioni assunte in sede internazionale dal Segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki-moon. La questione delle acque internazionali – ha spiegato il ministro della Difesa, Mauro – «apre ad un contenzioso in un contesto internazionale». Di qui la necessità della «internazionalizzazione del contenzioso che va messo a sistema«.
Una decisione, quella di invocare un arbitrato internazionale, che trova ampio consenso nel centrodestra. «Abbiamo più volte detto che il caso è internazionale e su questo livello va trattato – ricorda Gasparri – La retromarcia del Segretario generale dell’Onu non ci tranquillizza. Vogliamo prese di posizione forti da parte di tutta la comunità internazionale. La dignità dei nostri marò e quella di tutta l’Italia è stata offesa con accuse infondate e con una attesa estenuante».
Sulla stessa frequenza Giorgia Meloni: «Dopo 2 anni il governo condivide la posizione di Fratelli d’Italia: sì all’arbitrato internazionale per i marò e no alla giustizia indiana. Meglio tardi che mai», scrive su Twitter l’ex-ministro.
L’India, nel frattempo, sta esplorando tutte le ipotesi esistenti per formulare i capi di accusa contro i due fucilieri di Marina italiani non sulla base della legge per la repressione della pirateria (Sua Act) ma del Codice penale indiano. Lo ha rivelato oggi, sul suo sito online, il quotidiano The Indian Express secondo il quale al termine ieri di una riunione interministeriale (Interni, Esteri e Giustizia) e’ stato deciso che la questione sia nuovamente studiata dal ministero della Giustizia.
Nell’incontro, promosso dal ministro dell’Interno Sushil Kumar Shinde, il collega degli Esteri, Salman Khurshid, ha sottolineato, assicura The Indian Express, che «l’immagine del Paese si stava deteriorando a livello internazionale a causa dell’impasse». Per questo Khurshid ha proposto che la questione sia nuovamente essere esaminata dal ministro della Giustizia, Kapil Sibal, per valutare se le accuse nei confronti dei due militari italiani possano essere formulate utilizzando solo il Codice penale indiano.
Nell’udienza del 10 febbraio in Corte Suprema, il procuratore generale G.E. Vahanvati, aveva confermato la volontà di utilizzare il Sua Act, ma senza fare ricorso alla richiesta di pena di morte. Una opzione pero’ fermamente respinta dai legali di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
E ieri il vice procuratore generale Mohàn Parasaràn, che lavora al caso dei due marò, ha detto ai microfini del GrRai che «gli italiani devono essere certi che né il governo né l’Alta Corte si lasceranno influenzare da pressioni interne».
«Non vogliamo dare all’estero un’impressione sbagliata del nostro sistema giudiziario – ha spiegato con una certa preoccupazione il vice procuratore generale – il caso è diventato per l’India una questione diplomatica di primo piano ed il governo deve muoversi, da un lato, nelle relazioni con l’Italia e dall’altro con i sentimenti della gente del Kerala. Le pressioni internazionali non servono perché l’India è già preoccupata per le relazioni bilaterali con Italia». Un messaggio chiarissimo che, però, dovrebbe essere recepito, prima di tutto, da chi continua a soffiare sul fuoco alimentando una strumentalizzazione per scopi elettorali interni.