Morto in esilio il nemico di Fidel Castro che si ribellò alla svolta comunista di Cuba
Una vita che è andata di pari passo con la storia di Cuba. Da eroe della Rivoluzione cubana del 1959 a dissidente e nemico storico di Fidel Castro tanto da finire gettato in prigione. La parabola del comandante Huber Matos si è conclusa a 95 anni a Miami, dove è morto in esilio dal Paese per il quale aveva combattuto. Un esilio durato 35 anni. L’ex comandante militare della rivolta castrista contro la dittatura di Fulgencio Batista fu infatti condannato a 20 anni di carcere dopo aver denunciato la svolta comunista del regime di Fidel Castro.
Matos si era quindi rifugiato negli Stati Uniti nel 1979. Nato a Yara, cittadina nel sud-est dell’isola, Matos era un insegnante che dopo il golpe che portò al potere a Batista nel 1952 si unì alla lotta armata contro la dittatura e dovette espatriare in Costa Rica, da dove organizzò l’appoggio alla rivolta, in stretta collaborazione con Fidel Castro.
Nel marzo del 1958 coordinò personalmente l’invio di cinque tonnellate di armi e munizione ai ribelli, unendosi alla guerriglia castrista nella Sierra Maestra.
A quel punto nominato responsabile di una colonna di combattenti, fu responsabile della conquista di Santiago de Cuba, la seconda città più importante del Paese, ed entrò all’Avana insieme a Fidel, a Ernesto Che Guevara e ad altri leader guerriglieri nel gennaio del 1959, dopo la sconfitta finale di Batista.
Considerato uno dei più stretti collaboratori di Fidel, essendo uno dei pochi che lo aveva accompagnato dall’inizio della rivolta, Matos fu nominato comandante della provincia di Camaguey, nel centro-est di Cuba.
Ma, nel luglio del 1959, dopo la rinuncia di Manuel Urruti, l’avvocato liberale che era stato proclamato presidente in esilio dai ribelli e fu il primo capo di Stato dopo la rivoluzione, entrò in conflitto con la linea politica del governo dell’Avana. Due mesi dopo, presentò le sue dimissioni «la crescente influenza comunista nel governo”» e Fidel ordinò il suo arresto.
Dopo un meeting pubblico nel quale la folla esigeva il «paredòn» (“al muro”, cioè la fucilazione) contro il traditore, Castro decise di evitare la sua esecuzione – proposta invece dal fratello e futuro successore Raul Castro e dal Che – strategicamente «per evitare di creare un martire».
Condannato a 20 anni di prigione per «sedizione» e «alto tradimento», Matos scontò la sua pena nella prigione della piccola Isla de la Juventud, dove lo stesso Castro era stato rinchiuso da Batista. Nella sua autobiografia, intitolata «Come venne la notte», raccontò di aver subito ogni tipo di tortura e di aver scontato almeno 15 anni della sua pena in totale isolamento. Liberato nel 1979, provò l’esilio prima in Costa Rica e poi a Miami, dove fondò il gruppo dissidente Cuba Indipendente e Democratica (Cid).