Toto-ministri: Renzi costretto al Sudoku, tra vecchi scarponi, amazzoni di sinistra e neolottizzati
Enrico Letta non è ancora salito al Colle, ma il sudoko dell’esecutivo Renzi – che punta, a detta del segretario Pd, su una squadra “snella” – mette prontamente alle prese con la matematica del rimpasto. Ma al momento, l’unica certezza è che il toto-ministri conta su 50 ipotesi per soli 12-13 ministeri, e 7 giorni – assicurano dal Nazareno – per trovare la quadra. «Non faccio la lista della spesa», aveva detto qualche giorno fa il sindaco di Firenze durante il talk show politico di Agorà: e oggi, allora, l’uomo con l’elenco in mano da aggiornare, tra deleghe e soluzioni tecniche, è Graziano Delrio, già ministro degli Affari regionali del governo Letta, ora ipoteticamente in procinto di rientrare a Palazzo Chigi con altro incarico (si parla di lui come del prossimo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, in corsa con il portavoce del Pd, Lorenzo Guerini).
Un vero e proprio rebus, insomma, quello della composizione del nascituro governo Renzi che, tirando le somme punta, oltre che a rimpastare i ministri, a miscelare soluzioni politiche e rimedi tecnici, speziando il tutto con l’arruolamento di diverse nuove personalità provenienti dal mondo dell’imprenditoria, della cultura, della finanza. Insomma, un’avvicendamento, quello tra Letta e Renzi che rievoca anche un po’ inquietanti scenari montiani, e che non dovrebbe limitarsi a un semplice restyling esteriore, ma puntare a un vero e proprio nuovo look politico più articolato e complesso.
La maggioranza di governo che l’ex rottamatore del Pd sta formando, peraltro, potrebbe rimuovere, o comunque ridimensionare, le quote delle larghe intese, per imporre un timbro più decisamente democrat, o comunque colorature più decisamente di centro-sinistra. Fuori dalla metafora: meno spazio agli alleati di Ncd e apertura a Sel.
Il primo nodo da sciogliere è quello del vice, come noto figura non proprio amata dal neo segretario Pd, che dovrebbe comunque far rimanere in carica il leader del Nuovo centro-destra Angelino Alfano, ma senza deleghe.
La poltrona più vacillante, invece, è quella del ministro dell’Economia: l’erede del dicastero di via XX settembre che prende il posto di Saccomanni ha per il momento vari volti, da quello “tecnico” di Andrea Guerra, amministratore delegarto di Luxottica, a quello del Professore Tito Boeri, passando per quello del vicesegretario generale dell’Ocse, Piercarlo Padoan, fino a quello dell’ex ministro Fabrizio Barca e dell’economista Lucrezia Reichlin.
Altre nomine strategiche – ma non certo nuove – potrebbero essere quelle dell’ex sindacalista, già segretario pro-tempore del Pd, Guglielmo Epifani, e della giovane Marianna Madia, outsider lanciata in Parlamento da Veltroni, che nella corsa all’incarico ministeriale potrebbe avere la meglio, al fotofinish magari, anche su Andrea Guerra, Fabrizio Barca e Tito Boeri, già in gara per l’Economia, ma possibili antagonisti anche in questa “competizione”. E se al Viminale si parla di Delrio come di Dario Franceschini, in lizza per la Farnesina ci sarebbero o la conferma di Emma Bonino o, addirittura, il premier uscente Enrico Letta.
Alla Giustizia, nella quasi certezza della rimozione di Anna Maria Cancellieri, voci insistenti darebbero per imminenti le nomine di Michele Vietti, vice presidente del Csm, “tallonato” dalla candidatura del presidente emerito della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick. Praticamente certa, invece, la presenza nella nuova squadra di governo di Maria Elena Boschi: dove, però, ancora da definire. Per lei si parla di una staffetta con Gaetano Quagliarello al Ministero delle Riforme, senza escludere la Cultura (dove sarebbero il competizione Gianni Cuperlo e Matteo Orfini). Ma al dicastero fino ad oggi occupato da Massimo Bray potrebbero ambire anche lo scrittore Alessandro Baricco – nome in pista già da qualche giorno – e il giornalista e storico Paolo Mieli. Ma se le logiche della politica dovessero prevalere su quelle delle specifiche competenze, entrerebbe in competizione anche Dario Franceschini.
Braccio di ferro tra due signore, invece, per rimpiazzare Mario Mauro alla Difesa: i nomi sono per ora quelli di Federica Mogherini e Roberta Pinotti. E mentre Maurizo Lupi (Ncd), mantenendo la delega al Ministero dei Trasporti, potrebbe cedere invece il ministero delle Infrastrutture al sindaco Pd di Bari, Michele Emiliano, oppure al primo cittadino di Salerno, Vincenzo De Luca, l‘erede della dimissionaria Nunzia De Girolamo potrebbe essere il patron di Eataly, Oscar Farinetti, insigne rappresentante delle candidature tecnico-glamour del prossimo esecutivo Renzi. Staffetta tutta pollitca, invece, al Ministero dei Rapporti con il Parlamento tra Dario Franceschini e l’attuale vice presidente della Camera, Roberto Giachetti. Al Ministero dello Sviluppo Economico, poi, vengono considerati papabili Andrea Guerra insieme a Maurizio Martina, esponente della corrente Dem interna al Pd. Un’incertezza suffragata dall’alta probabilità che, comunque, Flavio Zanonato venga rottamato.
Nella categoria uscenti, infine, sono quotate le riconferme di Andrea Orlando al Ministero dell’Ambiente, e di Beatrice Lorenzin al Ministero della Sanità.
La prognosi, come noto, verrà sciolta solo all’ultimo momento utile: la terapia seguita da Renzi and co. al momento punta a barcamenarsi tra equilibri governativi e dinamiche interne al partito democratico. Ma la febbre da accorpamento è sempre in agguato, e bisogna tenerne conto.