Un anno fa la rinuncia di Benedetto XVI: un atto rivoluzionario e coraggioso che in pochi capirono
La mattina di quell’11 febbraio di un anno fa, quando Benedetto XVI, parlando sommessamente in latino ai cardinali riuniti nella Sala del Concistoro, ha annunciato al mondo la sua rinuncia-shock al pontificato – primo Papa a dimettersi da sei secoli, dall’epoca del Grande scisma d’Occidente – ha rappresentato un moto di rinnovamento epocale. Joseph Ratzinger annunciava che di li’ a poco, la sera del 28 febbraio, avrebbe lasciato il soglio di Pietro, aprendo così la “sede vacante”, per le ragioni legate all’età – 86 anni – e al calo delle forze fisiche, necessarie a tenere con polso saldo le ardue redini del cattolicesimo mondiale. Molti lessero la rinuncia di Benedetto XVI al pontificato come una fuga, un segno di impotenza di fronte alle crisi innescate da Vatileaks, di incapacità di governare e riformare la Chiesa. A un anno di distanza le “dimissioni” che lasciarono stupefatto il mondo, e molti preoccupati o terrorizzati all’interno della Chiesa, si comprendono per quello che subito furono: un atto di coraggio, una riforma nel solco del Concilio, che ha innescato un processo di rinnovamento nella Chiesa cattolica, che non sarebbe stato possibile se il pontificato si fosse concluso con la morte naturale. E’ stato lo choc salutare impresso da papa Ratzinger ai vertici della Chiesa, alla curia, ai cardinali riuniti nelle Congregazioni e poi in conclave, a rendere possibile la scelta di un papa venuto dalla fine del mondo, che guarda alla istituzione che deve guidare con l’ottica delle periferie e non del centro, dei poveri e non dell’Occidente spesso opulento e egoista, che porta una prospettiva nuova, radicalmente evangelica, nel governo e nella pastorale.
Con la rinuncia Benedetto XVI – teologo che gia’ aveva dimostrato di saper essere un riformatore, nella lotta agli abusi del clero e nell’avvio del processo di trasparenza finanziaria della Santa Sede – si conferma riformatore, e inserisce nella prassi ecclesiale un istituto, quello delle “dimissioni”, che rafforza le potenzialità che la Chiesa ha di riformarsi radicalmente con la palingenesi che si realizza a ogni cambio di pontificato. Acquistano senso allora le parole di Benedetto XVI, in latino, di fronte ai cardinali attoniti: la sua constatazione di non aver più il vigore del corpo e dell’animo per governare la barca di Pietro in un mondo sempre più veloce, di non essere in grado portare a termine il servizio petrino che gli era stato conferito il 19 aprile del 2005, la necessità di farsi da parte, lasciando al collegio cardinalizio l’onere di tenere un conclave e scegliere un successore. Nei dodici mesi passati da quell’11 febbraio, il papa emerito, come ha scelto di farsi chiamare, ha convissuto dentro le mura vaticane con papa Francesco, sfatando qualsiasi timore di costituire un contropotere capace di condizionare governo e scelte del papa regnante. Come spiegato da padre Federico Lombardi in una ampia intervista alla Radiovaticana, la rinuncia di Benedetto XVI «è una scelta che continuerà a segnare anche le prossime epoche della Chiesa». Un’apertura di una strada, «diciamo di una possibilità, che, come diceva bene Benedetto, «proprio nella sua motivazione alla rinuncia, è connessa anche ai tempi che noi stiamo vivendo. Non tanto, quindi, ad una sua semplice situazione personale, quanto alla collocazione nei tempi con l’accelerazione, l’accumulo dei problemi che pongono».