27 marzo: vent’anni dopo non c’è più niente da festeggiare. Eppure non bisogna dimenticare

27 Mar 2014 10:41 - di Gennaro Malgieri

Il 27 marzo di vent’anni fa fu un trionfo, la promessa di una svolta epocale e radicale. Una coalizione messa su alla bell’e meglio da Silvio Berlusconi sbaragliò la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto. La sinistra riteneva di avere la vittoria in pugno, si sentiva beneficiaria di Tangentopoli, avvertiva nelle sue fibre il brivido della vittoria agognata. Gli ex-comunisti, ancora orgogliosamente comunisti nonostante l’Unione Sovietica avesse ammainato le bandiere da un paio d’ anni, immaginavano la presa del Palazzo d’Inverno che al 1948 avevano inutilmente tentato di espugnare. Ci si mise di mezzo un geniale imprenditore milanese che riuscì a far convivere ciò che insieme per definizione non poteva stare: la Lega ed il Msi-An. Due alleanze diverse, al Nord e al Sud, che unite diedero vita ad un governo di centrodestra su cui milioni di italiani riposero le loro speranze dopo le devastazioni giudiziarie che si abbatterono sul vecchio e decrepito  sistema. Ci si illuse che decenni di partitocrazia fossero stati archiviati in quell’assaggio di primavera e che le vecchie cariatidi del ciellenismo fossero state relegate nella pellicceria della Prima Repubblica.

Senza retorica, fu epica quella giornata che vide gli “esuli in patria” al governo insieme con il partito delle piccole imprese sofferenti e vessate da politiche clientelari che anno dopo anno facevano lievitare il debito pubblico ed un tycoon brillante, seduttore di masse fino a quel punto indifferenti o rassegnate.

Si delineò allora la speranza di vedere finalmente all’opera una classe dirigente all’altezza dei tempi e della situazione italiana compromessa dopo la fine dei partiti tradizionali con il rischio concreto che il Paese finisse in una sorta di buco nero. Una speranza alimentata, con alterne fortune, nel corso di un ventennio, ma mai evoluta in quella “rivoluzione” che perfino gli avversari politici credevano ineluttabile. Sappiamo come è andata. E non vale spendere altre parole.

Oggi non c’è un bel niente da festeggiare. La parabola di quell’imprenditore fattosi politico è al tramonto. Di quei volti, perlopiù sconosciuti, che vedemmo sfilare sui teleschermi, sono rimaste immagini sbiadite: i più giovani neppure li ricordano. I partiti che ebbero l’illusione di “prendersi” l’Italia per rinnovarla sono diventati altro rispetto a ciò che erano. Forza Italia probabilmente (ed inconsciamente) è rinata per commemorare un’occasione perduta.

Se le idee avessero vinto sui personalismi, se il potere non avesse accecato le nomenklature,  se le identità fossero state esaltate in un disegno armonico questo 27 marzo lo avremmo festeggiato volentieri e non saremmo stati i soli. Invece, non si sentono tintinnare i bicchieri in un brindisi corale, ma c’infastidisce il suono sgradevole di scomposti epigoni a turbare una giornata che potrebbe e dovrebbe essere di raccoglimento e di riflessione. Volano gli stracci in Forza Italia; il centrodestra non esiste più e pure la destra si è perduta nel deserto  politico, mentre la Lega vivacchia ed altre soggettività emergono in maniera larvale cercando di ereditare quello spirito del 27 marzo 1994. La grande bellezza, insomma, di un forte movimento nazional-conservatore, frutto dell’unione di componenti diverse accomunate da un sentimento di rinascita nazionale, si è dissolta irrimediabilmente.

Inutile immaginare ricomposizioni impossibili. Quando un’epoca finisce, non resta che la malinconia.

 

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