Blitz di FdI in un capannone cinese a Prato. Meloni: «Un’azione per il made in Italy»
Non una semplice riunione di vertice, ma un blitz in alcune fabbriche cinesi di Prato, per dire che l’Italia non può accettare fenomeni di nuova schiavitù sul proprio territorio, concorrenza sleale a chi lavora onestamente e un danno al made in Italy prodotto “dall’interno”. Fratelli d’Italia oggi ha riunito per la prima volta il suo esecutivo e ha voluto mandare un messaggio chiaro: non sarà un organismo autoreferenziale, ripiegato su questioni interne e tatticismi, ma una testa d’ariete nei confronti dei problemi reali del Paese e dei suoi territori, anche con l’obiettivo di proporre soluzioni a livello amministrativo e legislativo. «Abbiamo scelto Prato per dare un segnale su come Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale intende portare avanti il suo impegno politico. Se lo Stato chiede responsabilità ai cittadini deve dare il buon esempio. E noi dobbiamo ripartire da qui, da questa idea della giustizia, del rispetto delle regole e della tutela di quello che rappresentiamo», ha spiegato Giorgia Meloni che, con Guido Crosetto, ha guidato la ventina di dirigenti tra i trenta e i quarant’anni che ha compiuto il blitz. Sono i ragazzi della cosiddetta “generazione Atreju”, dal nome della festa nazionale di Azione giovani che negli anni è diventata un punto di riferimento per la politica italiana. Cresciuti nella militanza, oggi, costituiscono una nuova classe dirigente, che ha portato quell’esperienza all’interno delle istituzioni di ogni livello. Non a caso Prato è stata la sede di questa prima riunione-azione: il partito ha risposto all’invito del consigliere regionale della Toscana, Giovanni Donzelli, che viene da quel percorso e che per questa iniziativa ha lavorato insieme al collega Paolo Marcheschi che, partendo da Forza Italia e passando per il Pdl, ha poi deciso di aderire al nuovo partito della destra italiana. Durante il blitz gli esponenti di FdI hanno cercato di parlare con gli operai cinesi, per raccoglierne le testimonianze. Ma è stato un tentativo andato a vuoto: alcuni sono letteralmente fuggiti, altri hanno mostrato di non parlare e non capire l’italiano. È un fitto muro di diffidenza e omertà, quello che ha permesso alla chinatown pratese di crescere nell’illegalità, portando anche a episodi drammatici come il rogo di dicembre in cui morirono sette persone. Qualcosa si muove, come ha dimostrato l’annuncio di questi giorni di tre denunce arrivate in Comune da operai cinesi, ma proprio per questo è forte la necessità di tenere alta l’attenzione. Meloni l’ha spiegato chiaramente. «Abbiamo voluto accendere i riflettori su questa situazione», ha detto, chiedendo che fine abbiano fatto i sindacati e sottolineando con forza che il modo in cui “imprenditori” cinesi senza scrupoli sfruttano loro connazionali danneggia tutto il sistema-Paese. «Quando stamattina siamo entrati nel capannone cinese abbiamo trovato per terra le etichette con scritto “confezionato in Italia”. Questo a dimostrazione che la concorrenza sleale non arriva solo dall’estero ma ce l’abbiamo dentro casa, dove viene realizzato un finto e scadente Made in Italy che mina alla base la credibilità e la qualità dei nostri prodotti», ha raccontato la Meloni, aggiungendo che «siamo qui per ascoltare l’allarme lanciato da chi ogni giorno lavora e paga le tasse, dovendo fare i conti con una concorrenza sleale che mette in ginocchio decine di aziende italiane». Fratelli d’Italia ora studierà una serie di proposte di legge, atti di indirizzo al governo e altre iniziative parlamentari «per dare risposte concrete». Le ipotesi sul tavolo vanno dai maggiori controlli bancari alla richiesta di paletti europei, fino alla possibilità di intervenire come si interviene contro i traffici della criminalità organizzata. «Verificheremo se ci sono i margini per applicare anche a questa realtà le stesse norme che si applicano per tracciare il denaro delle associazioni mafiose», ha spiegato ancora la presidente di Fratelli d’Italia, nel corso di una conferenza stampa che è stata a sua volta un momento fortemente simbolico: è stata organizzata all’interno di un capannone industriale vuoto perché il proprietario non ha voluto affittare all’ennesima fabbrica cinese.