Il fattore Renzi scompiglia il centrodestra. E Forza Italia vuole tornare in maggioranza purché non si sappia in giro
Il centrodestra e il fattore “R”, inteso ovviamente come Renzi. Ovvero del rischio implosione del più innovativo ed ambizioso progetto politico degli ultimi vent’anni. Non é il titolo di un dotto trattato di politologia ma molto più semplicemente la descrizione del baratro che si sta spalancando sotto i piedi della falange ex-post e neo berlusconiana.
La politica non è diversa dalle altre attività del braccio o della mente umana ed anche qui si raccoglie quel che si è seminato. Onestà intellettuale esigerebbe perciò che l’analisi degli errori compiuti non soccombesse sempre rispetto al trionfalismo beota e servile di chi è aduso a nascondere la cenere sotto il tappeto per far credere al padrone di aver ramazzato il pavimento. Il centrodestra ha goduto di ottima salute fintanto che la sinistra è rimasta a danzare intorno al falò nel quale aveva lanciato Occhetto, Prodi, D’Alema, Amato, Rutelli, Veltroni, Bersani e Letta. Poi è successo che a furia di primarie contestate, di duelli rusticani, di leader azzoppati e premier defenestrati, il Pd ha trovato un giovane sindaco, neppure quarantenne, sufficientemente vago nei suoi pubblici convincimenti ma terribilmente convincente nella volontà di realizzarli. Non è il “papa straniero” su cui la sinistra ha a lungo strologato bensì un prodotto fatto in casa, uno di quelli tipici di cui abbondano ancora le regioni rosse, ormai le uniche in cui è possibile rinvenire la memoria e la pratica di quel che un tempo veniva pomposamente definito cursus honorum. Ecco, Renzi è il prodotto del suo partito e si avvia a diventarne il punto di forza, il valore aggiunto.
Altra aria si respira nel centrodestra. La leadership ventennale di Berlusconi appare logorata dall’usura del tempo e rischia di essere oscurata dagli effetti di una brutta sentenza giudiziaria. Qui la sensazione è di terrore paralizzante perché il modello carismatico non ha mai pensato a sdoganare al proprio interno primarie, congressi e duelli. Il Cavaliere scendeva in campo e sbaragliava il nemico. Non c’era perciò alcuna fretta né volontà di radicare il partito sul territorio e farvi germogliare una decente classe dirigente. E chi poneva il problema passava per guastafeste con smanie da primo della classe. Né il leader ha mai davvero pensato di allevare un erede. Come Saturno, anzi, li ha divorati tutti. L’ultimo, Alfano, è addirittura scappato. Ha fondato il Ncd per sventolare da lontano quel quid che il Cavaliere non gli accreditava in casa. Beau geste, anche se ora, stando ai sondaggi, il suo è soprattutto un problema di quorum. In ogni caso, laddove fino all’altroieri il centrodestra era un rigoglio di leadership del calibro di Fini, Casini, Bossi e Tremonti, ora è il deserto. È la vendetta della politica sulla comunicazione ed è la rivincita dell’organizzazione sul “cerchio magico”, gentile eufemismo per indicare la cricca di opportunisti che isola il capo dal suo popolo per tornaconto personale o di gruppo. Non è forse la fotografia attuale di Forza Italia e di gran parte del centrodestra?
Basta scorrere le cronache politiche di questi giorni per rendersi conto dei contorcimenti che tormentano in queste ore i berlusconiani ed i “diversamente” tali. Con questi ultimi che arrancano dietro Renzi nella speranza di incassare un cospicuo dividendo elettorale dai futuri (e molto eventuali) successi del governo e con i primi che – per la stessa ragione – vorrebbero ritornare nell’area della maggioranza, da essi stessi precipitosamente abbandonata all’indomani della decadenza di Berlusconi dal Senato, ma non sanno come fare senza sprofondare nel ridicolo. Improvvisazione degna della commedia dell’arte. E né agli uni né agli altri passa per la testa di smettere di litigare per provare ad uscire da questa sottospecie di teatro dell’assurdo facendo per una volta prevalere la politica sulla propaganda.
Tale imbarazzante cincischio è solo l’effetto più vistoso del fattore “R”, inteso ovviamente come Renzi. Vent’anni di sconfitte e di umiliazioni politiche appena intervallate dagli effimeri successi prodiani hanno trovato nella forza dell’organizzazione la linea del Piave del Pd. Nella trincea opposta, il carisma del leader rischia invece di diventare la Caporetto del centrodestra dopo esserne stata fino ad ora la fonte del successo. La differenza tra chi ha investito sull’organizzazione e chi ha scommesso sull’uomo solo al comando è tutta qui. Non è dunque solo un piccolo gioco di parole sostenere che, in fondo, alla meta può arrivare solo chi è veramente… partito.