Il settarismo grillino è un vulnus alla democrazia che non è possibile sottovalutare

7 Mar 2014 10:31 - di Gennaro Malgieri

Diciotto deputati e tredici senatori espulsi o “costretti” a dimettersi. Dopo un anno di legislatura, il Movimento Cinque Stelle ha perso trentuno parlamentari. Un record nella storia  repubblicana. E’ questo il risultato dell’ “impoliticità” di Grillo & Casaleggio. I quali avevano immaginato l’attività parlamentare come una rissa continua alla quale milioni di italiani si sarebbero appassionati convogliando su di loro i consensi per promuovere una sorta di “rivoluzione dolce”, magari con un passaggio elettorale a breve termine. Un’illusione che sta mettendo in ginocchio la bislacca strategia e fa apparire il fenomeno, ben al di là dei risultati conseguiti, come il sintomo di una patologia che se si cura per tempo non dovrebbe lasciare tracce. Il  problema però è tutto qui.

Ci sarà qualcuno che riuscirà a trovare la cura affinché il movimentismo pentastellato si esaurisca nel volgere di una legislatura? Francamente non c’è risposta per ora. Ci limitiamo ad osservare lo strano fenomeno della decomposizione dei gruppi parlamentari nei quali affiora ogni giorno di più l’insofferenza da parte degli eletti nell’essere trattati come membri di una setta, di un’organizzazione poco trasparente, cui si vorrebbe sottrarre la più elementare autonomia  vietando pubbliche apparizioni, iniziative non ispirate dall’alto, contatti con gli aborriti “nemici”, la formulazione di giudizi critici e perfino l’attiva partecipazione alla vita stessa parlamentare “senza vincolo di mandato”, come recita la Costituzione, attraverso proposte non concordate con i “padroni” del movimento.

Ma ciò che lascia maggiormente perplessi di fronte a quanto sta accadendo nel M5S è la “squalifica morale” da parte dei dissidenti, rilanciata a getto continuo sul web, che è la forma moderna dei processi stalinisti contro i quali non ci risulta che si sia levata da parte di forze politiche e di opinionisti una reazione per come meriterebbe la vicenda che contraddice non soltanto i principi elementari della democrazia, ma offende la sensibilità di cittadini di qualsiasi confessione politica. E, come suggerisce la senatrice “reproba” Paola Del Pin,  bisognerebbe chiedersi “quali siano le vere ragioni del disagio presente nel M5S” del quale le continue scomuniche seguite da espulsioni sono sintomi a dir poco inquietanti. Sintomi che non riguardano soltanto una parte politica, ma la tenuta della stessa dialettica democratica e, quindi, noi tutti.

Un’alzata di spalle non è ammissibile, insomma. Di fronte allo stravolgimento delle regole (peraltro anche in forme incivili come abbiamo visto di frequente in Parlamento negli ultimi tempi) tutte le forze politiche (e non solo) dovrebbero porsi il problema dell’agibilità di alcuni rappresentanti del popolo additati al pubblico ludibrio da parte di una piccolissima nomenklatura che ritiene, non si sa in base a quali criteri, di operare una cesura tra i suoi eletti – che dovrebbero essere privati della facoltà di pensare – ed il mandato che sono obbligati ad espletare liberamente senza condizione alcuna.

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