Kiev non ritira le truppe dalla Crimea: l’Osce invia cento osservatori
Il ritiro totale delle truppe ucraine ancora di stanza in Crimea non è al momento in agenda. Ad affermarlo è il capo di Stato maggiore della Marina militare ucraina Serghii Gaiduk. «Sono in contatto con tutti i comandanti in Crimea – ha detto l’ammiraglio -, ho dato loro ordini a seconda della situazione, e il ritiro delle truppe dalla Repubblica autonoma di Crimea non è in agenda». Inoltre, i soldati ucraini che tornano dalla Crimea occupata dai russi saranno accolti come «veri eroi» e non come disertori. Lo scrive il ministero della Difesa ucraino sul suo sito web dicendo di voler combattere la falsa notizia «diffusa dai servizi segreti russi» che «le unità che lasceranno la penisola saranno sciolte e la procura ucraina indagherà tutti i soldati per alto tradimento». Intanto, in queste ore, un gruppo di filorussi – 200 persone disarmate, secondo fonti giornalistiche occidentali sul posto – ha fatto irruzione in un’altra installazione militare ucraina, una base dell’aeronautica militare di Kiev a Novofederovka, nell’ovest della penisola annessa da Mosca. Lo fa sapere l’agenzia Ukrinform citando il portavoce del ministero della Difesa di Kiev, Vladislav Seleznev. I militari ucraini si sono barricati nell’edificio del comando e hanno lanciato fumogeni sugli intrusi, ma senza riuscire a fermarli.
Sul fronte diplomatico, Mosca spera che la missione dell’ Osce in Ucraina (con l’invio di cento osservatori per sei mesi) – concordata venerdì con l’ok della stessa Russia – aiuti a «superare la crisi», fermando il «rampante banditismo nazionalista» a Kiev e «contribuendo a un accordo nazionale». Ritiene d’altronde, ha detto il portavoce del ministero degli esteri russo Aleksandr Lukashevich che «il mandato della missione rifletta le nuove realtà politiche e giuridiche» e quindi «non si estenda alla Crimea e a Sebastopoli, che fanno ormai parte della Russia». Bruxelles intanto intensifica il suo pressing per convincere il Cremlino a riprendere la strada della diplomazia. «Non c’è spazio per l’uso della forza e della coercizione per ridisegnare le frontiere, nel ventunesimo secolo», scrivono i 28 nelle conclusioni del summit Ue, le stesse che danno il via ad un nuovo pacchetto di sanzioni: il vertice Ue-Russia di giugno è cancellato, così come tutte le bilaterali degli Stati membri, mentre si allunga di altri dodici nomi (raggiungendo quota 33) la “black list” che prevede lo stop dei visti ed il congelamento dei beni. Vi si includono esponenti del governo russo (come il vicepremier Dmitri Rogozin), del parlamento, ma anche due consiglieri del presidente Vladimir Putin, Vladislav Surkov et Serghiei Glaziev, alte cariche militari, e un anchorman della tv pubblica, Dmitri Kiseliov, fan del dispiegamento russo in Crimea. La scure europea colpisce anche i prodotti della Crimea: «Potranno essere venduti liberamente in Ue solo se arrivano attraverso l’Ucraina, altrimenti saranno sottoposti a forti penalità», evidenzia il premier britannico David Cameron. E mentre la Francia annuncia la sospensione della cooperazione militare con la Russia, dal vertice arriva anche il mandato a Stati membri e Commissione di studiare «misure mirate» in campo economico. Sanzioni da impiegare nel caso di una nuova escalation, come ad esempio «l’invasione delle truppe russe ad est», spiega Cameron. Di fronte alle decisioni di Bruxelles, il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov parla di sanzioni «illegali e irrazionali», che porteranno alla creazione di «barriere non necessarie», e il presidente Putin fa invece sapere che la Russia «si trattiene dal rispondere alle sanzioni e dall’introdurre un regime dei visti con l’Ucraina».