La campagna elettorale di Hillary Clinton comincia male: scoppia lo scandalo dei fondi neri
Una bomba a orologeria scoppiata proprio all’indomani della partenza della macchina elettorale: l’ombra dello scandalo cala su Hillary Clinton, politica di lungo corso non nuova al passo falso. E a ventiquattro ore dall’avvio del Super Pac Ready for Hillary, (il comitato di raccolta fondi), la prima battuta d’arresto viene inferta dal Washington Post, che riporta il resoconto di un’indagine lunga tre anni sulla raccolta e distribuzione di fondi neri destinati alle campagne elettorali: una doccia fredda che gela gli entusiasmi propagandistici della ex segretaria di Stato e del team democrat che rappresenta.
Trema la Washington della politica e degli affari. Trema il polo progressista convinto fino ad oggi che quello della candidata ex first lady fosse l’unico nome competitivo per la sfida con i repubblicani. Ma, soprattutto, torna a vacillare il nome di Hillary Clinton, e la solidità della sua nomination per la Casa Bianca nel 2016, in nome della quale ieri era iniziata la campagna elettorale ombra. E di ombre e sospetti, infatti, si torna a parlare a proposito della donna che, dal famoso scandalo Whitewater con Jim e Susan McDougal – condiviso con il marito Bill all’epoca della “loro” presidenza, legato agli investimenti immobiliari in Arkansas – ha spesso alimentato le perplessità dell’opinione pubblica in merito ad amicizie “discutibili” frequentate dalla coppia. Amicizie che potrebbero diventare imbarazzanti in campagna elettorale. Imbarazzo che, puntualmente, si è creato oggi, all’indomani della pubblicazione pericolosa del Post.
Amicizie come quella con l’imprenditore Jeffrey Thompson – uno spregiudicato affarista ben conosciuto a Washington – che avrebbe ammesso per la prima volta, dopo tre anni di indagini, di aver raccolto e distribuito illegalmente fondi elettorali in violazione alle leggi sul finanziamento ai partiti. Non solo per favorire nel 2010 l’elezione dell’attuale sindaco della capitale Usa, Vincent Gray – che ad oggi nega ogni addebito in questa vicenda – ma anche – ne sono convinti gli inquirenti – per sostenere un candidato alla presidenza. Candidato che la stampa Usa, in particolare il Washington Post appunto, individua in Hillary Clinton, quando era impegnata nelle primarie democratiche del 2008 contro Barack Obama.
Di più: entrando nel dettaglio dell’inchiesta, dalle carte visionate dal Post emergerebbe come sia stata proprio la responsabile della campagna dell’ex segretario di Stato, Minyon Moore, a sollecitare fondi illeciti. Capitali da spendere in almeno quattro Stati dove la lotta per le primarie era più dura (Texas, Pennsylvania, Indiana, North Carolina) e a Porto Rico. Questo, almeno, secondo quanto rivelato da Thompson, che nel suo racconto parla di oltre 600.000 dollari messi a disposizione per arruolare gente e acquistare materiale elettorale. In totale si indicherebbe dunque la cifra di oltre 3,3 milioni di dollari, spesi in donazioni non dichiarate fatte da Thompson, andati a più di 28 politici e candidati. Anzi, secondo gli atti dell’accusa, l’affarista americano avrebbe dirottato 668.800 dollari a «un candidato politico alla poltrona di sindaco, coordinandosi con lo stesso candidato».
E anche se sulla Clinton il quotidiano statunitense – non nuovo agli scoop, come la storia del Watergate insegna – sottolinea come la vicenda fosse già emersa a settembre, e come al momento non ci sia alcuna prova che fosse consapevole di eventuali comportamenti illegali o sapesse delle donazioni fuori legge, il fatto è che, però, la vicenda rischia di creare comunque un danno d’immagine, e quindi un ostacolo insormontabile sulla corsa dell’ex segretario di Stato Usa per la Casa Bianca. E per scoprirlo basterà attendere poco, e valutare quanto accadrà nel frattempo: a partire proprio dalla prossima settimana, quando partiranno le primarie tra i democratici per le prossime elezioni a sindaco alla guida della capitale federale. Una manches elettorale emblematica, che vede nuovamente in campo la ricandidatura di Gray, e il cui esito sarà in parte discriminante anche per la sorte politica della Clinton.
Un quadro intricato, insomma, a cui non giova certo la dichiarazione d’intenti annunciata dal procuratore federale che conduce le indagini, Ronald Machen, che in queste ore ha sostenuto che le indagini sull’attività di Thompson proseguono, e che «nuove incriminazioni potrebbero arrivare a breve»…