L’inattendibile Spatuzza si “ricorda” fuori tempo massimo di Dell’Utri e Berlusconi
Un racconto raffazzonato. Fatto di frasi costruite pescando qua e là. Non nei ricordi. Ci mancherebbe. Ma, strategicamente, estraendo, con consumata teatralità, proprio quelle tessere che vanno a incastrarsi, alla perfezione, nel puzzle dei magistrati palermitani. Un miracolo, si direbbe. Se non fosse che la Corte d’appello di Palermo nel 2010 lo bollò con un marchio infamante: inattendibile.
Gaspare Spatuzza, 40 omicidi alle spalle commessi e tranquillamente ammessi come la serva sciorina l’elenco della spesa, recita il suo show nell’aula bunker del carcere di Rebibbia a Roma dove si sta celebrando l’ennesima udienza del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Nascosto da due paraventi traballanti almeno quanto lo sono le sue incredibili dichiarazioni che si levano nell’aria come volute di fumo, coccolato da quattro nerboruti agenti del Gom, sguardi truci che spuntano dai mefisto, il boia di don Pino Puglisi, il sacerdote di Brancaccio ammazzato da lui nel ’93 («voleva impossessarsi del nostro territorio. Prima lo controllammo, poi si decise di ucciderlo. Volevamo simulare un incidente perché sapevamo che un omicidio di un prete avrebbe avuto conseguenze, poi però optammo per il delitto classico») razzola a tutto campo avendo, però, sempre bene in testa dove andare a parare.
E poco importa che le sue dichiarazioni arrivino molti anni dopo i canonici 180 giorni che la legge assegna ai pentiti – o sedicenti tali – per raccogliere la memoria e raccontare d’un fiato tutto quello che sanno. Ora o mai più. Spatuzza, che pure parlò parecchio, non ha mai parlato di Berlusconi. Ma ora c’è bisogno di parlarne. Ed ecco, improvvisamente, che al pentito torna, come d’incanto la memoria. E dire che lo hanno interpellato più volte. Niente, quel nome proprio non gli diceva nulla fino a poco tempo fa. Ma ora è un’altra cosa. Ora c’è l’occasione ghiotta. E così anche Spatuzza, miracolosamente, si “ricorda” del Cav.
Si “ricorda” dell’incontro romano con il boss Giuseppe Graviano. Un incontro durante il quale, rammenta ora Spatuzza, il capomafia gli avrebbe fatto il nome dell’ex-premier Silvio Berlusconi e dell’ex-senatore Marcello Dell’Utri.
Interrogato dal pm Francesco Del Bene, Spatuzza cala sul tavolo un episodio che sarebbe accaduto, a suo dire, a gennaio del 1994 quando lui e un nutrito numero di killer di Cosa nostra erano a Roma per organizzare un attentato ai carabinieri allo stadio Olimpico, attentato poi fallito.
«Con un’aria gioiosa (Graviano, ndr) mi disse – sostiene Spatuzza – che avevamo ottenuto tutto quel che cercavamo grazie a delle persone serie che avevano portato avanti la cosa. Io capii che alludeva al progetto di cui mi aveva parlato già in precedenza. Poi aggiunse che quelle persone non erano come quei 4 crasti (cornuti, ndr) dei socialisti che prima ci avevano chiesto i voti e poi ci avevano fatto la guerra».
«Ve l’avevo detto che le cose sarebbero andate a finire bene», avrebbe detto Graviano a Spatuzza. «Poi – continua Spatuzza – mi fece il nome di Berlusconi e aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani».
L’avvocato Giuseppe Di Peri, difensore di Dell’Utri, già prima della deposizione di Spatuzza ha buon gioco a stracciare il pentito. Chiede che venga depositato agli atti del processo il verbale illustrativo della collaborazione di Spatuzza. Una mossa finalizzata a dimostrare l’inattendibilità del pentito che non ha parlato, nella dichiarazione di intenti imposta dalla legge ai collaboratori di giustizia, delle notizie apprese dal boss Giuseppe Graviano su Dell’Utri e Silvio Berlusconi.
Per il legale, Spatuzza ha parlato delle circostanze riferite da Graviano dopo i 180 giorni che la legge indica come termine massimo entro il quale i pentiti devono dire, all’autorità giudiziaria, quanto a loro conoscenza.
Già la Corte d’appello di Palermo che, nel 2010, condannò Dell’Utri per concorso in associazione mafiosa, aveva stigmatizzato il comportamento di Spatuzza dichiarandolo inattendibile.
La Procura, a questo punto, non può esimersi dall’aderire alla richiesta del legale di Dell’Utri. E deposita un verbale di Spatuzza sostenendo, appunto, che è quello il verbale illustrativo. Ma l’avvocato Di Peri non ci sta: quello prodotto dai pm non è il verbale da lui richiesto poiché ne esiste uno precedente. E qui la Procura è costretta ad ammettere: è vero, sostiene l’ufficio dei pm, ma quel verbale a cui allude il legale è solo il primo verbale di interrogatorio reso dal collaboratore, non il verbale di intenti. Un equilibrismo che spiega bene le difficoltà di far quadrare i racconti tardivi del pentito con la verità.
Ma Spatuzza si presta spesso e volentieri. Basta chiedere. C’è l’esigenza di sostenere il teorema secondo il quale dietro la stagione stragista di Cosa Nostra c’è la mano dei servizi deviati della massoneria, della politica? Nessun problema. Ecco che dai “ricordi” di Spatuzza emerge l’ectoplasma: «Non era un ragazzo, né un vecchio. Doveva avere 50 anni. Non l’avevo mai visto prima, né lo vidi dopo quella volta. Di certo non era di Cosa nostra», racconta il pentito parlando di un misterioso uomo che avrebbe incontrato il giorno prima della strage di via D’Amelio nel garage in cui venne portata la 126 imbottita di tritolo e fatta poi esplodere.
«In questi anni – aggiunge Spatuzza – mi sono sforzato di dare indicazioni su di lui, ma lo ricordo come un negativo sfocato di una foto». Talmente sfocato che potrebbe essere chiunque. Il personaggio, ancora non identificato, partecipò, secondo Spatuzza, alla fase preparatoria dell’attentato al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta.
«Non mi allarmò la presenza di quell’uomo – sostiene il pentito mentre descrive quello che sarebbe stato il suo ruolo nel furto della 126 e delle targhe da sostituire e nel trasferimento della macchina da Brancaccio al garage nella zona della Fiera di Palermo, a poca distanza da Via D’Amelio – perché se era lì era perché Giuseppe Graviano (il boss di Brancaccio ndr) lo voleva». Un racconto, quello di Spatuzza, buono per qualsiasi identikit. Ora tocca solo trovare qualcuno a cui cucirlo addosso.