L’Italia “scopre” l’Ucraina con colpevole ritardo. E, come al solito, non sa da che parte stare
L’Italia “scopre” l’Ucraina. Finalmente. Finora i politici, gli intellettuali, le organizzazioni umanitarie erano distratti da altro, evidentemente. Neppure Kiev che bruciava nelle scorse settimane li aveva indotti ad attivarsi in favore di una causa che meritava tutto il riguardo possibile ed immaginabile, non soltanto in considerazione delle disperate condizioni economiche del Paese, ma anche per i pericoli che si paventavano e che si sono puntualmente concretizzati con l’invasione russa ordinata da Vladimir Putin.
Ancora una volta il Cremlino non ha perso l’occasione per mostrare il suo volto brutale nei confronti di nazioni sovrane ed indipendenti, una volta “regioni” dell’Impero sovietico, che continua a considerare alla stregua di colonie o protettorati, come avvenne anni fa con l’invasione della Georgia e come continua ad avvenire alimentando la crisi in Ossezia ed Inguscezia. E, naturalmente, una volta che i popoli si ribellano ai suoi voleri o a quelli dei sui legati, come lo è stato negli ultimi quattro anni il fuggiasco Yanukovich, gli autocrati di Mosca non si peritano di farsi sentire. Negli anni Trenta, pur di stabilire il suo potere, Stalin affamò l’Ucraina con la “carestia programmata”, detta Holodomor, così Putin, per quanto in maniera meno brutale (almeno per ora), intende ristabilire la supremazia russa nell’area occupando militarmente la Crimea che, per quanto ucraina, continua a risultare “strategica” nella geopolitica moscovita, al punto che laggiù è dislocata buona parte della flotta navale russa nonostante gli accordi prevedessero l’abbandono di Sebastopoli nel 2010. In quell’anno, guarda caso, viene eletto Yanukovich ed il trattato distrutto: per altri venti anni la Russia potrà servirsi delle basi “ospitate” da un altro Paese, senza neppure pagare l’affitto. Stalin sottomise l’Ucraina privandola del grano; Putin chiudendo i rubinetti del gas. Il dinamico funzionario del Kgb, non dimentica le giovanili lezioni apprese ad una scuola crudele.
Di fronte alla jattanza del Cremlino, i richiamati politici, intellettuali e pacifisti italiani in servizio permanente effettivo (che pure si sono spesi nell’accreditare Yanukovich come un fior di democratico eletto regolarmente, come attestano i “monitoraggi” europei, senza addentrarsi sui metodi di convinzione usati nei confronti degli elettori) non si rendono conto che i venti di guerra che soffiano in Ucraina ripetono il copione già visto nei Balcani agli inizi degli anni Novanta. E’ una guerra etnica quella che Putin intende scatenare, mettendo gli uni contro gli altri ucraini nativi e russi “esportati”, attizzando rivalità mai del tutto sopite e pronte ad esplodere se soltanto si offre a popoli sostanzialmente diversi l’occasione per massacrarsi. Poi, i torti e le ragioni verranno stabiliti da una qualche conferenza internazionale a disastro compiuto.
E’ francamente stupefacente come in Italia si sia maggiormente inclini a scaldarsi per una piazza Tahrir o per le molte piazze delle cosiddette “primavere arabe” e poco o niente per piazza Maidan e per i rivoltosi che chiedono pane, indipendenza ed Europa. C’è un che di inspiegabile nelle “distrazioni” di chi dovrebbe mostrare maggiore attenzione per ciò che accade nell’Estrema Europa dove potrebbe divampare un conflitto dalle proporzione catastrofiche, mentre ci si concentra su quanto razzola nel cortile di casa. E’ per questo che l’Italia conta poco o niente sugli scenari internazionali.
Adesso che l’ultimo misfatto ai danni di una nazione sovrana sta per compiersi qualcuno alza la testa, ma è troppo tardi. L’Italia, come sempre, ai tavoli della pace e della guerra arriva sempre in ritardo.