Roma, conto alla rovescia per l’Oscar. Ma nella vita reale va in scena “la grande bruttezza” firmata Marino
Roma delenda est. È l’ultimo imperativo etico della borghesia intellettuale che dai salotti con vista sul Gianicolo o dalle mansarde della Garbatella indugia nella narrazione della Città Eterna in disfacimento. Anche la stampa che conta, Repubblica in prima linea, cavalca l’onda dello sdegno civile che monta lasciando sulla cresta spruzzi di nostalgia un po’ snob per gli antichi splendori mescolata alla messa in stato d’accusa di un’amministrazione impotente e negligente. Con un tempismo sospetto alla vigilia della notte delle stelle che potrebbe assegnare l’ambita statuetta alla Grande Bellezza di Sorrentino (e a poche ore dal via libera del governo allo strattonato decreto “SalvaRoma” per evitare il default capitolino) è una gara a rompere i cocci. E l’omaggio dal retrogusto felliniano alla capitale della magnificenza barocca e della perdizione è un perfetto alleato per l’operazione affossa-Roma. Prima che Ignazio Marino diventasse il nemico numero uno della sinistra e del generone romano Servillo è stato arruolato da Repubblica come musa anti-berlusconiana. Perché tanto successo all’estero? Perché seduce gli States? Semplice perché il suo capolavoro – parola di Cuzio Maltese – «è la rappresentazione più vera dell’Italia reduce dal ventennio berlusconiano, cafona, corrotta, incolta». In queste ore di veleni incrociati sull’Urbe la Grande Bellezza è un’ottima traccia per leggere in controluce il collasso capitolino messo in chiaro dal sindaco “straniero” nel penoso braccio di ferro con Palazzo Chigi per evitare la bancarotta sulla pelle dei romani. Francesco Merlo dedica alla “Capitale della grande bruttezza” le sue considerazioni amare sul «buio del magnifico fallimento della mia città» condivise con l’amico Carlo Verdone (protagonista di un prezioso “cammeo” nel film di Sorrentino). «Dai graffitari alla monnezza: il magnifico fallimento di una Capitale in svendita» è il reportage immaginifico di un viaggio tra le buche materiali e metaforiche che rischiano di inghiottire la città più bella del mondo: dai borseggiatori fissi di Termini ai portoghesi che non pagano i biglietti degli auto, dai “finti poveri che picchiano i finti ricchi” alle scritte che imbrattano i muri eterni (“Marino sei un fallito”, “Belrusconi merda”) passando per botteghe in svendita, ambulanti abusivi, traffico in tilt, piste ciclabili invase di rifiuti. Tra le righe del racconto collettivo Merlo chiama in causa esplicitamente il sindaco Marino, «vedo il fallimento anche ne Palazzo dell’Opera dove il sindaco Marino soi è esibito in una delle sue peggiori performance minacciando la chiusura…». Il grido di dolore dei quotidiani, un tempo pronti a celebrare le magnifiche sorti e progressive del rinascimento rutellian-veltroniano, approda sul web dove spuntano come funghi gruppi facebook e blog (persino giornali on line dal titolo Romafaschifo.it) pronti a impallinare l’amministrazione capitolina a suon di istantanee del degrado metropolitano e post velenosi modello Pasquino. A ogni foto corrisponde il titolo di un ideale cahier de dolèance da recapitare sulla scrivania di Marino, il sindaco che vive come un marziano all’ombra del Cupolone, nell’immaginario collettivo l’ultimo degno erede di una genia di sindaci impotenti, spendaccioni, irresponsabili, prigionieri di enormi debiti stratificati nel tempo. Brutti tempi per il sindaco chirurgo appena sopportato dal suo partito, ostacolato da subito dalla sua stessa giunta, poco amato dalla stampa, arrivato sulla poltrona più alta dell’Aula Giulio Cesare grazie a un’operazione targata Goffredo Bettini, che proprio della estraneità di Ignazio all’establishment del Nazareno aveva fatto il punto di forza del candidato contro Alemanno. Che il suo mandato non arriverà al capolinea è ormai certo: il “nuovo” Pd post-bersaniano è pronto a farlo fuori come dimostra la trappola sul SalvaRoma confezionata da Renzi, che scalpita per applicare al Campidoglio il metodo Letta, magari cominciando con un rimpasto di giunta con l’ingresso di un assessore pesante come Lionello Cosentino. Resta solo da stabilire quando sferrare il fuoco amico, per ora la tattica del partito cittadino è quella di far rosolare a fuoco lento il sindaco naif e masochista fino alle europee per evitare contraccolpi. Dopo il voto Marino verrà scaricato e non certo per il bene di Roma.