Concordia, match fra il capo dell’Unità di Crisi e Schettino: mi propose di cambiare versione e parlare di blackout
Da una parte c’è lui, Schettino, dall’altra c’è Roberto Ferrarini, il capo dell’unità di crisi di Costa Crociere spa che ha l’onere, nell’udienza in corso al processo di Grosseto sul naufragio della Concordia al Giglio, di “proteggere” la Compagnia e far sì che l’unico colpevole sia e resti l’avventato comandante. È un compito ingrato e complesso quello di Ferrarini, già indagato con Schettino e che ha patteggiato nel luglio 2013 due anni e 10 mesi per omicidio plurimo colposo, lesioni plurime colpose e mancate comunicazioni alle autorità marittime.
“Fleet Crisis Coordinator” in servizio la sera del 13 gennaio 2012 e considerato una figura-chiave per le comunicazioni telefoniche avute col comandante nelle ore successive all’urto contro gli scogli e rispetto alle decisioni prese nelle varie fasi dell’emergenza, Ferrarini ha ripercorso in aula quello che accadde quella sera incalzato dalle domande del pm Alessandro Leopizzi che gli rinfaccia una serie di dichiarazioni di Francesco Schettino.
«Non ho lasciato a Francesco Schettino la responsabilità» di gestire l’emergenza del naufragio al Giglio «ma gli lasciai autonomia» di agire e comunque «da lui non ho mai ricevuto una richiesta di prendere io da Genova le decisioni. E’ paradossale che ora dica di esser stato lasciato solo dalla compagnia», sostiene, cauto, il capo dell’unità di crisi di Costa Crociere.
Al centro della questione alcune dichiarazioni, riportate dal pm oggi in aula, fatte da Schettino nella causa di lavoro che lo oppone a Costa spa in cui il comandante della Concordia ha rivelato di esser stato lasciato solo nelle fasi del naufragio. Ma anche le comunicazioni che avvennero in quelle fasi concitate fra l’unità di crisi e Schettino, fra la nave e le Capitanerie di Porto, fra Costa spa e le stesse capitanerie. Il pm Leopizzi vuole vederci chiaro, i due sono su posizioni distanti e inconciliabili. E così il magistrato della Procura di Grosseto tenta di ricostruire le comunicazioni. «Il comandante Schettino mi disse di essere in contatto con la Capitaneria di Porto, quindi per me l’autorità marittima era già stata informata da lui», si lava le mani Ferrarini.
Il capo dell’Unità di Crisi di Costa racconta al pm il motivo per cui, in quella situazione che stava precipitando, lasciò fare a Schettino: dava «informazioni frammentarie» nelle telefonate con l’Unità di Crisi a Genova, ma «dal tono del comandante» in una telefonata, sostiene Ferrarini, «ho percepito che era ragionevolmente sereno e che avesse la situazione sotto controllo, pur nella drammaticità della situazione. Anche per questo gli lasciai autonomia sul da farsi».
Nella sua deposizione proseguita dal mattino al pomeriggio, il capo dell’unità di crisi di Costa Crociere ha ripercorso le telefonate con Schettino la sera del naufragio al Giglio: «Le informazioni arrivano a poco a poco. Nella terza telefonata il comandante mi dice che la nave non andava a fondo, nella quarta (verso le 22.30, ndr) la percezione è che aveva informazioni frammentarie, e che in qualche modo doveva avere sempre conferma da suoi ufficiali» delle avarie a bordo.
«Il tono di Schettino era rassicurante – ha ancora aggiunto Ferrarini – le informazioni che mi dava, mi facevano ritenere che la situazione era sotto controllo».
Nel corso dell’udienza sono state fatte sentire ancora una volta telefonate di Schettino, intercettate in plancia dalla “scatola nera”, in cui lui si fa passare Ferrarini al telefono nei dieci minuti dopo l’impatto per avvisarlo dell’impatto con gli scogli e dell’emergenza. Schettino parla di “scoglietto”, “basso fondale” colpito e accusa subito di aver seguito le indicazioni del comandante di navi in pensione Mario Terenzio Palombo, a cui aveva telefonato poco prima dell’urto per chiedere informazioni sui fondali vicini alla costa del Giglio.
Ma il vero attacco diretto a Schettino arriva quando il capo dell’Unità di Crisi di Costa Crociere sostiene in aula che Schettino gli «propose di dire alle autorità che a causa di un blackout aveva fatto una collisione. Ma io dissentii fortemente, mi arrabbiai. Era una cosa differente e falsa rispetto a quanto mi aveva raccontato prima, e cioè che aveva urtato uno scoglio e che la nave si era allagata».
Una versione che, insomma, desse la colpa del naufragio a un blackout a bordo cui sarebbe seguita la collisione, e non a un errore di manovra come invece accaduto.
«Ricordo di aver reagito abbastanza male – ha sostenuto Ferrarini – E ho condiviso la stessa reazione con i colleghi nella sala di crisi» a Genova.
Il pm Alessandro Leopizzi, a quel punto, ha fatto ascoltare una telefonata tra Schettino e Ferrarini: Schettino, intercettato, parla di blackout, ma si sente che a un certo punto della conversazione – probabilmente per la reazione di Ferrarini – recede dal suo disegno di convincerlo a dare una versione dei fatti alterata.
«Non credo che sia stato tentato alcun accordo, né tanto meno lo si evince dalla registrazione telefonica da cui non si è compreso nulla, anche i periti fonici non hanno interpretato bene cosa viene detto. Non c’è nessun riscontro e comunque è una questione che non ha alcuna influenza a fini processuali», replica in una pausa del processo l’avvocato difensore di Schettino, Domenico Pepe.
Proseguono, intanto, le operazioni per preparare la Concordia prima della partenza verso il porto dove verrà smantellata.
«Sul porto di destinazione siamo al rush finale – ha detto il commissario per l’emergenza della Costa Concordia Franco Gabrielli all’Isola del Giglio – gli assicuratori incontreranno a breve ministero dell’Ambiente, Regione Toscana e Provincia di Grosseto per le autorizzazioni necessarie al trasferimento. Ho chiesto agli assicuratori che facciano presto perché più è incerto questo punto e più si rischia di condizionare anche alcune attività che si stanno svolgendo sull’isola. Siamo andati oltre il timing che era stato indicato dei primi di marzo – ha concluso Gabrielli – ma ognuno, pur nella legittimità della richiesta, è andato a candidarsi purché avesse un affaccio sul mare. Una cosa dobbiamo metterci in testa: la nave deve andarsene entro l’autunno, altrimenti avremmo fallito tutti».
Quanto al proseguo delle operazioni e dei lavori di rimozione «una volta che saranno posizionati i cassoni l’operazione di refloating, il rigalleggiamento della nave, avrà la durata di una settimana», ha spiegato Gabrielli ai cittadini di Isola del Giglio che lo hanno incontrato.
«I due momenti che avranno un impatto sulla vita dell’isola saranno la fase iniziale e quella finale che dovrebbero durare entrambe circa sei-otto ore. E queste operazioni potranno essere svolte in orari che non rechino particolare disagio sul porto – ha aggiunto il commissario per l’emergenza della Costa Concordia – Siccome nessuno di noi sa al centesimo quello che potrà avvenire da qui in avanti fare dei calcoli per stabilire accelerazioni e rallentamenti lo trovo pericoloso. In una vicenda nella quale quest’isola ha già pagato un prezzo significativo di due anni, mettersi a fare i conti se è meglio giugno o settembre lo trovo pericoloso».
«A me, ma credo a tutti noi, – ha concluso Gabrielli – ciò che importa è che le attività di rigalleggiamento non abbiano ripercussioni ingestibili sulla vita economica, turistica e sociale dell’isola. Poi sapere con certezza ora la settimana in cui ciò avverrà non credo sia il tema da affrontare oggi».