Gli stipendi non si toccano: Renzi apre il doppio fronte con magistrati e Rai. Solo fuochi d’artificio?

19 Apr 2014 10:23 - di Redazione

Sono volate parole grosse tra le toghe e il premier, che nella conferenza stampa dell’ora X ha attaccato duramente la categoria degli intoccabili («mi consigliano di non parlare dei magistrati», ha ironizzato). Con la conferma dei tagli agli stipendi dei giudici Renzi ha aperto un fronte caldo con l’Anm che da giorni è sul piede di guerra e parla di «attentato» all’indipendenza della magistratura. «Io non commento le sentenze – ha detto il premier – e mi aspetto che i magistrati non commentino le leggi che li riguardano». Il riferimento è al comunicato velenoso firmato dal sindacato delle toghe alla vigilia del Consiglio dei ministri in cui si bacchettava «la gravità di un’iniziativa unilaterale del governo che, senza alcun confronto e in via d’urgenza» vuole procedere alla riduzione delle retribuzioni. Demolition man, unico premier del centrosinistra ad attaccare la cittadella dei giudici, ribatte di volersi assumere la responsabilità di dichiarare che è sacrosanto applicare anche alla magistratura il criterio della «serietà». È un principio di buon senso e un modo per fare pace con gli italiani. Che tradotto significa portare il tetto da 311 a 240mila euro nel nome del lodo Olivetti che «non è un attentato all’indipendenza della magistratura». Secca la replica del sindacato dei giudici che rilancia: «Leggi e sentenze si devono applicare ma si possono commentare e criticare». Il punto è l’assenza di “interlocuzione” e la valanga di boatos e anticipazioni giornalistiche che hanno messo in subbuglio le toghe, disposte a fare sacrifici solo se vengono chiesti a tutte le categorie del pubblico impiego («perché annunciare tagli solo per qualcuno? Ci sembra strano…» spiega Sabelli). Ora la partita si trasferisce in Parlamento dove i magistrati finora hanno sempre messo in minoranza chi ha provato a sfidarli. Soltanto nei prossimi giorni si saprà se i giudici fanno sul serio o se si tratta di fuochi d’artificio, finora non sono previsti scioperi né piazze calde. Di sicuro, se la tagliola sulla “casta” fosse stata calata dal nemico Berlusconi, avremmo già l’Italia occupata da girotondi e cortei contro il governo e la deriva plebiscitaria. Sembra il primo match di uno scontro tra “fratelli coltelli”. Un altro fronte caldo aperto da Renzi riguarda la Rai: anche su questo terreno il rottamatore va avanti come un treno e non intende fare sconti. L’inespugnabile roccaforte di viale Mazzini deve fare la propria parte: «Decida il Cda Rai come produrre 150 milioni di risparmi, sono autorizzati a vendere Raiway e a riorganizzare le testate regionali. Facciano loro ma lo devono fare, sennò interveniamo noi…». L’Usigrai non l’ha presa bene. Come l’Ann anche il sindacato vicino alla sinistra, per la prima volta, fa le pulci al premier amico. «Il taglio di 150 milioni di euro per la Rai rischia di avere un impatto pesante per l’azienda e l’occupazione. Si tratta di un taglio netto lineare, di dubbia legittimità perché lede il principio di indipendenza economica dei servizi pubblici», è il commento dell’esecutivo Usigrai. Ad aggravare la situazione l’ipotesi di vendita, seppure parziale, di Raiway: «Alienare le torri è una scelta strategica errata. L’ipotesi di una riorganizzazione delle sedi regionali è un’affermazione vaga».

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