Gli strani silenzi di “Repubblica” sulla vicenda Sorgenia e sul ruolo di De Benedetti

3 Apr 2014 18:10 - di Silvano Moffa

Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Quando si tratta di dare notizie che non fanno dormire sonni tranquilli alla famiglia De Benedetti, Repubblica sorvola. Neanche un rigo sulla vicenda Sorgenia. In compenso, un trafiletto nella pagina economica per annunciare che si è chiuso con successo il collocamento del prestito obbligazionario dell’Espresso da 100 milioni di euro, con richieste per 5 volte l’offerta. Perchè tanto silenzio? Cosa sta accadendo in casa Cir, la finanziaria di famiglia, le cui certezze contabili non sembrerebbero così solide, nonostante i 360 milioni netti incassati con il Lodo Mondadori? È mai possibile che il quotidiano di cui l’Ingegnere è editore-finanziere si occupi di risiko bancario a proposito del salvataggio della Popolare di Spoleto ad opera del Banco Desio, e non dedichi nulla, proprio nulla, ripetiamo, alla società di energia, la Sorgenia, controllata dalla holding della famiglia De Benedetti, che porta sul groppone il peso di un debito di 1,9 miliardi di euro? La Sorgenia, appunto. Un gruppo di banche (Montepaschi,Intesa Sanpaolo, Unicredit, Bpm, Banco Popolare, Ubi ed altri 13 istituti di credito) ha deciso  di rompere gli indugi e metter le mani sulla società a rischio default. Sono tutte banche che hanno interessi diretti e  vantano crediti nei confronti  della Sorgenia. L’operazione è complessa. Richiede  passaggi delicati come ricapitalizzazione, conversione di crediti in capitale, rideterminazione delle quote di partecipazione, esercizio di possibili opzioni. Al centro c’è  la Cir. Attualmente la holding dei De Benedetti  possiede il 52,9 % delle azioni. Il restante 47,1 è del socio austriaco Verbund che, però, non ne vuol più sapere di continuare ad impegnarsi in Italia. A quanto pare, nonostante l’enorme accumulo di debiti, la Cir vorrebbe garantirsi il  51%, la maggioranza delle quote, e un rendimento prioritario rispetto a quello accordato alle banche. Come? Con un semplice aumento di capitale di 100 milioni di euro. Proposta che giudicare indecente è dir poco. Proposta, ovviamente, rispedita al mittente. Come si possa chiedere a chi è creditore di converite il titolo in azioni, salvare una società decotta e malgestita, e poi lasciare  il pallino della roulette nelle mani di chi l’ha portata al fallimento, fa parte di quella altezzosa presunzione di cui si ammantano gli gnomi del capitalismo italiano, vezzeggiati e idolatratati nei  cosiddetti salotti “buoni”  della finanza nostrana. Vedremo nei prossimi giorni come si concluderà la vicenda. Il condizionale è d’obbligo. Anche se il gruppo di banche che sta mettendo nell’angolo De Benedetti sembra fortemente intenzionato a non cedere. In ballo ci sono centinaia e centinaia di milioni e una azione di ristrutturazione e di controllo che non può sfuggire alle regole della  legge fallimentare. E neppure alle verifiche della Consob. A proposito di legge fallimentare, resta aperto un interrogativo. Se al posto della Sorgenia, della Cir e di De Benedetti  ci fossero  un’ altra società e un altro imprenditore, magari con meno debiti sulle spalle, le banche si sarebbero così tanto prodigate per convertire i crediti in azioni?  E come sarebbe finita per l’incauto imprenditore dal nome non altisonante ? Ci potete giurare: i libri sarebbero finiti  in tribunale. Senza tanti riguardi. Quanto all’Espresso, sarà pure andata a buon fine l’emissione dei bond, ma sul gruppo editoriale pende ancora il giudizio in Cassazione sulla presunta evasione fiscale di 350 milioni. Il verdetto è atteso da giugno. Anche di questa notizia non c’è traccia sui giornali che fanno capo all’ incensato Ingegnere. In epoca di Tangentopoli, De Benedetti diventò famoso perchè ammise di aver pagato tangenti per dieci miliardi di vecchie lire ai partiti di governo per aggiudicarsi  commesse delle Poste italiane. Per questo se la cavò alla grande. Fu arrestato e liberato nello stesspo giorno. È il caso di dire: Noblesse oblige!

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