I “domiciliari” a Berlusconi farebbero saltare tutti gli accordi

3 Apr 2014 15:58 - di Oreste Martino

L’incontro tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi rientra in quel che si può definire “ragion di Stato”. Da più parti si è criticata la scelta del Colle di ricevere un politico condannato in via definitiva, decaduto da parlamentare e in procinto di scontare la pena con l’affidamento ai servizi sociali o agli arresti domiciliari. Detta così potrebbe in effetti sembrare un’imprudenza del Quirinale, ma ad analizzare le regole vere della politica e la storia si capisce che invece il problema del destino di Berlusconi riguarda l’interesse nazionale e quindi va valutato attentamente dalla più alta carica dello Stato.

Il Cavaliere ha posto per l’ultima volta al Quirinale il problema della sua “agibilità politica” e l’assenza di risposte rischia di mettere a repentaglio la “ragion di Stato”. Non v’è dubbio che c’è stata una condanna definitiva e che Berlusconi dovrà scontarla, ma la decisione che il Tribunale di sorveglianza di Milano prenderà tra sette giorni può incidere sulla tenuta della politica italiana, accorciare o allungare la legislatura, far durare o meno il governo, far approvare o meno la legge elettorale e le riforme costituzionali. È questo il vero problema che Napolitano deve porsi, anche come presidente del Csm. La “ragion di Stato” consiglierebbe un trattamento per il Cavaliere adeguato alla storia politica e al ruolo, perché la vera pena la sconta di fatto con l’impossibilità a candidarsi e a fare politica attiva. Un affidamento ai servizi sociali con prescrizioni non rigide terrebbe in vita la leadership di Berlusconi ed impedirebbe l’implosione di Forza Italia. Se invece i giudici milanesi optassero per i domiciliari, cosa che pure avrebbe un suo fondamento visti i carichi pendenti del condannato e visto che non c’è stato alcun segnale di accettazione della condanna e di pentimento rispetto alle condotte per le quali è stato processato, si determinerebbe un inevitabile corto circuito che potrebbe costar caro all’Italia.

Berlusconi agli arresti domiciliari o affidato in prova con prescrizioni mortificanti farebbe saltare i nervi a Forza Italia, che si sgretolerebbe tra gruppi e gruppetti e farebbe saltare ogni riforma concordata con Matteo Renzi. E se a questo si aggiungono i mal di pancia del Partito democratico – e in particolare dei senatori guidati da Vannino Chiti nella battaglia contro l’abolizione del Senato elettivo – può accadere di tutto.

Qualcuno obietterà che la legge è uguale per tutti e che Berlusconi non deve aver alcun favoritismo nello scontare la pena, ma se questo è vero non si può non tener conto in questo caso della “ragion di Stato”, regola antica e salvifica degli interessi nazionali per la quale gli Stati mettono in atto condotte non sempre lineari e che non sempre devono venirsi a sapere.

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