La Ciociara diventa opera lirica. Ma i cattivi non sono più gli autori delle marocchinate…
Se ne parla ormai da più di un anno, ma ora che si avvicina il debutto iniziano a emergere i dettagli. La Ciociara versione opera lirica sarà in cartellone al teatro dell’opera di San Francisco dal giugno 2015 e nella stagione successiva, la 2016-’17, arriverà in Italia, al Regio di Torino. Al teatro californiano, da cui è stata commissionata, l’opera sarà presentata con il titolo con cui in America sono conosciuti sia il romanzo di Moravia sia il film di Vittorio De Sica che nel 1960 valse l’Oscar a Sophia Loren: Two women. Rispetto alla trama originale, però, La Ciociara lirica presenta un’innovazione. «La parte più rilevante è l’introduzione di un personaggio che incarna il male: in ogni opera ci vuole un cattivo», ha spiegato in un’intervista a la Repubblica il compositore Marco Tutino, milanese sessantenne, autore di quattordici opere. «Abbiamo ampliato – ha spiegato – un carattere che nel film era minimo, interpretato da Raf Vallone: il carbonaio Giovanni, con cui Cesira, quando stava a Roma, aveva avuto un fugace rapporto.
Nell’opera il baritono Giovanni, per gelosia, fa ammazzare, denunciandolo alla Gestapo, il giovane intellettuale Michele, tenore, di cui Cesira nel frattempo si è innamorata». Il passaggio che nel romanzo non c’è riguarda la delazione: lì l’assassinio di Michele da parte dei tedeschi non è provocato da una denuncia di Giovanni. Lo stesso carbonaio, del resto, è un personaggio assolutamente marginale. Nell’opera, invece, a quanto racconta Tutino, diventa centrale. Inoltre, come ha precisato il compositore, «con un artificio rappresentativo, la scena dello stupro delle due donne in chiesa avverrà simultaneamente alla fucilazione di Michele». Già nel febbraio 2013, in un’intervista al Corriere della Sera, Tutino aveva annunciato che vi sarebbero state modifiche. Lo sceneggiatore «Luca Rossi – aveva detto – ha fatto un ottimo lavoro di drammatizzazione aiutandomi molto nel compito di scrivere un’opera all’italiana». «Rossi ha accentuato alcune tinte della storia di Cesira e Rosetta e ha introdotto dei colpi di scena adatti al genere operistico», spiegò Tutino, aggiungendo che «la nostra riduzione della Ciociara è piaciuta molto alle eredi di Moravia, Dacia Maraini e Carmen Llera, che hanno dato il loro assenso».
Ma il male che tanto serve all’opera nel romanzo di Moravia e poi nel film di De Sica c’è già: è la guerra con le sue conseguenze, fra le quali stupro di gruppo subito da madre e figlia rappresenta insieme apice e punto di non ritorno. Tutta la nuova costruzione narrativa, almeno stando a quanto si intuisce dalla parole del suo autore, finisce così per stravolgere il senso della storia originale. Sposta l’attenzione dagli orrori patiti dai più deboli, per i quali il riscatto non arriva nemmeno con la liberazione e con la promessa di pace. Cesira e sua figlia vengono violentate nel momento in cui, con l’arrivo delle truppe alleate, potrebbero sperare nella fine delle loro sofferenze. Poi, subito dopo, subiscono anche l’indifferenza della pattuglia americana che incontrano per strada e dalla quale, invece che aiuto, ottengono accuse di follia. «Pace, pace», ripete l’ufficiale americano nella celeberrima scena del film di De Sica, mentre Cesira, disperata, mostra loro la figlia «rovinata». Affiancare allo stupro la novità dell’omicidio per delazione di Michele significa creare un bilanciamento artificioso alla “marocchinata” che Moravia non aveva previsto e che agli stessi americani non era mancato quando riconobbero in Two women un capolavoro da Oscar.