Sul Cavaliere cala il sipario. Ma le luci della ribalta restano accese
Dunque, il D-Day è arrivato. Non c’è più un’Europa da liberare dalla morsa hitleriana ma solo uno statista poco protocollare da neutralizzare per via giudiziaria. Ora come allora la missione è compiuta. Tutto regolare per un Paese che ha conosciuto l’osceno ludibrio di Piazzale Loreto o la vile grandinata di monetine lanciate all’indirizzo di un politico poi morto in terra straniera: da latitante per i suoi detrattori, da esule secondo i suoi amici. Solo per un pelo, invece, la scampò un sette volte premier, impenetrabile scrigno dei misteri nazionale, mascariato da “pezzi da novanta” di Cosa Nostra come punciuto di mafia e persino come mandante di omicidio. Benvenuti in Italia.
Berlusconi, il leader più controverso delle due Repubbliche (prima e seconda), l’unico dal dopoguerra ad oggi ad aver coagulato intorno a sé e contro di sé alleati e nemici trasformando la costituzione materiale ed introducendovi per via politica bipolarismo, alleanze preventive e sdoganamenti culturali, dovrà da domani assistere vecchietti disabili, darne conto ad assistenti sociali che a loro volta ne dovranno poi certificare l’avvenuto ravvedimento ad un giudice di sorveglianza. Neanche la più fervida fantasia avrebbe potuto immaginare un contrappasso più dantesco per l’impenitente utilizzatore finale degli scintillanti festini a base di bunga-bunga oltre che incorreggibile narcisista, capace ad un funerale di invidiare la salma pur di non abbandonare il centro della scena.
Ma il dramma di Berlusconi è collettivo. Riguarda l’Italia intera, la sua immagine nel mondo ed anche la schizofrenia di una sinistra che ritorna togliattiana solo sotto l’energica guida di un giovanotto post-dc che non ha avuto esitazioni nel baciare il rospo trasformandolo nel principe azzurro del processo costituente, quando fino a pochi mesi prima la nomenclatura allevata a Botteghe Oscure aveva rincorso appelli, girotondi e cortei pur di non farsi compromettere dal Cavaliere Nero. E poi c’è il dramma – più circoscritto ma non per questo meno avvincente – del suo partito. Forza Italia è al bivio più decisivo della sua ventennale esistenza e si trova completamente impreparata ad affrontarla, percorsa com’è da spinte centrifughe e rigurgiti localistici in funzione di surrogati di una leadership in realtà insostituibile. Sarebbe poca cosa se Forza Italia non fosse stata in questo tempi il fulcro di un centrodestra depositario delle ansie, delle speranze e – diciamolo senza infingimenti – delle illusioni di milioni e milioni di italiani.
Che ne sarà di loro ora che il piffero di Renzi comincia ad incantare e che il canto delle sirene grilline è a prova di catene e di orecchi tappati? Con il Cavaliere disarcionato le speranze di recupero elettorale sono a dir poco ridotte. Gli “azzurri” sembrano destinati a retrocedere al terzo posto. Psicologicamente sarebbe una brutta botta ma politicamente potrebbe imporre a Renzi di rivedere l’Italicum, il cui impianto attuale può diventare il grimaldello con cui Grillo potrebbe entrare da trionfatore a Palazzo Chigi con la complicità del malpancismo antipolitico a lungo coccolato dai forzisti. C’è da sperare che il riposo forzato del leader e l’indispensabilità di Forza Italia nel percorso delle riforme “costringa” questo partito ad uscire dalla corazza carismatica, che l’ha protetta ma anche ingessata, per incamminarsi lungo i sentieri accidentati ed impervi della politica trovando nel territorio, nella adeguatezza della classe dirigente e nella “visione” progettuale i pilastri con cui puntellare la casa lesionata. Del resto, c’è una speranza da riconsegnare al centrodestra e un’Italia da salvare. E se non sbaglio, nella sua essenza più profonda, era proprio questo lo spirito del ’94.