Tutti contro il soldato Bondi. Ma dopo il voto bisognerà ripartire dalla sua provocazione
Era fin troppo prevedibile che l’uscita di Sandro Bondi sul “fallimento” di Forza Italia finisse per essere giudicata più per la sua intempestività che per il suo contenuto. Il periodo di campagna elettorale è da sempre sconsigliato per stimolare pubbliche riflessioni, soprattutto se ad esserne oggetto è la tenuta di un partito. Quando poi questo partito si chiama Forza Italia e il “provocatore” ha il profilo di un superberlusconiano come Bondi è addirittura fatale concluderne che le marcature stanno davvero sul punto di saltare. E poco importa se di fronte alla comprensibile levata di scudi dei suoi colleghi ed alla fredda ira del leader, l’ex-coordinatore abbia tentato di rettificare il significato della sua inequivocabile lettera alla Stampa di Torino, probabilmente rendendosi conto che un suo abbandono dopo la defezione di Bonaiuti avebbe rappresentato un uno-due insopportabile anche per una pellaccia come il Cavaliere. Ma la frittata ormai è fatta.
Bondi paga dazio alla sua impolitica purezza o – come insinua sul Foglio Salvatore Merlo – la sua improvvida sortita va interpretata come un’inconsulta esplicitazione del Berlusconi-pensiero. Oppure – come malignano alcune voci di dentro – si tratta solo dello sfogo di un risentito. Comunque sia, è prevedibile che le questioni da lui poste (ma anche da Scajola) torneranno prepotentemente d’attualità all’indomani delle elezioni. Tutti in Forza Italia – persino chi per l’occasione sfoggia obbedienza cieca, pronta ed assoluta – è consapevole che nulla sarà come prima dopo le “europee”. E ciò a prescindere dal risultato delle urne: Berlusconi è un leone ingabbiato in una ridotta agibilità politica che alla distanza ne può fiaccare lo spirito, il partito non si è mai realmente radicato sul territorio e somiglia sempre di più a rissose tribù tenute insieme alla meno peggio solo dal collante dalla leadership. Il resto lo ha fatto il Porcellum chiudendo gli spazi di reale partecipazione e, con essi, criteri virtuosi di selezione di classe dirigente. Insomma, di carne sul fuoco ce n’è davvero tanta.
È quindi auspicabile che ad urne chiuse Forza Italia e l’intero centrodestra s’interroghino sul percorso compiuto negli ultimi dieci anni per chiedersi se le defezioni di Casini, Fini, Alfano e di tanti altri meno noti non siano state trattate con eccessiva disinvoltura autoassolutoria e se, al contrario, esse non vadano semmai imputate ad un modello di organizzazione che s’illudeva di poter resistere all’usura del tempo e della lotta politica trincerandosi esclusivamente dietro la forza propulsiva della leadership. Oggi che questa sembra affievolirsi, la provocazione del soldato Bondi può tornare più che utile.