Un nuovo saggio sul delitto Gentile: il ruolo dell’intelligence britannica e l’ipocrisia degli intellettuali fiorentini
C’è qualcosa che lega l’omicidio del filosofo Giovanni Gentile – avvenuto il 15 aprile del 1944, settanta anni fa – al delitto Moro e al delitto Calabresi. Qualcosa di irrisolto, di oscuro, di inedito. Si conoscono gli esecutori, cioè, ma non i mandanti. Lo ha scritto Paolo Mieli presentando sul Corriere l’imminente uscita (il 16 aprile) del saggio di Luciano Mecacci, La ghirlanda fiorentina (Adelphi, pp. 528, euro 25) dedicato proprio ai risvolti “indicibili” dell’assassinio di Gentile. Un libro che apre squarci notevoli sulle pagine grigie del caso Gentile che segue altri titoli (i saggi di Francesco Perfetti e Paolo Poletti, rispettivamente usciti nel 2004 e nel 2005) che rimandano a una pista plausibile: il coinvolgimento dei servizi segreti inglesi nell’eliminazione di un filosofo scomodo. Anche Luciano Canfora, nel saggio La sentenza (Sellerio, 1985) si era occupato del caso. Come ricorda Paolo Mieli erano stati due filosofi, Cesare Luporini e Gennaro Sasso, a parlare di un livello “indicibile” del delitto Gentile. Gennaro Sasso dopo l’uscita del saggio di Canfora si spinse a dire che “i servizi segreti d’Oltremanica possono essere entrati in qualche modo nell’assassinio, in parte manovrando i partigiani comunisti, facendo così una sorta di prova generale di un’altra ben più importante uccisione: quella di Mussolini”. Nel suo libro Mecacci cerca di ricostruire i rapporti tra i servizi segreti inglesi, Radio Cora (emittente clandestina del Partito d’Azione) e un circolo di intellettuali fiorentini (tra cui Eugenio Garin e Antonio Banfi) che avrebbero avuto anch’essi un ruolo nell’affaire Gentile. Mieli spiega che probabilmente Gentile fu ucciso non per il suo passato ma per il suo futuro: attorno a Gentile “si stava creando una corrente politica pronta a offrire una soluzione di compromesso – la pacificazione nazionale – per fare uscire dalla guerra la Rsi”. Un’eventualità di cui gli Alleati non volevano neanche sentir parlare.
Retroscena che di certo sono importanti per chiarire meglio un contesto tutt’altro che limpido anche se, sopra ogni cosa, resta l’avallo e il sigillo forniti da Palmiro Togliatti all’omicidio e ricordati da Sergio Romano in risposta a una lettera del Corriere (2008). Romano ricorda che qualche giorno prima dell’uccisione di Gentile «lo storico Concetto Marchesi, già rettore dell’Università di Padova, aveva scritto in Svizzera un articolo polemico contro Gentile e i suoi inviti alla riconciliazione nazionale. L’articolo apparve anonimo su un giornale clandestino dei comunisti milanesi in una versione che terminava con queste parole: Per i manutengoli del tedesco invasore e dei suoi scherani fascisti, senatore Gentile, la giustizia del popolo ha emesso la sentenza: MORTE!. Le parole conclusive non appartenevano al testo di Marchesi ed erano state aggiunte da Girolamo Li Causi. Ma divennero parole di Marchesi quando Palmiro Togliatti riprodusse l’articolo su Rinascita dell’1 giugno 1944 e lo fece precedere da una nota intitolata Sentenza di morte di cui Sergio Bertelli ha ritrovato il testo autografo. Eccolo: Questo articolo di Concetto Marchesi venne pubblicato nel numero 4 (marzo 1944) della rivista del Partito comunista La nostra lotta che si pubblica clandestinamente nelle regioni occupate dai tedeschi. Esso venne scritto in risposta a un miserando e vergognoso appello di Giovanni Gentile alla “concordia”, cioè al tradimento della patria, apparso nel Corriere della Sera fascista. Poche settimane dopo la divulgazione di questo articolo, che suona come atto di accusa di tutti gli intellettuali onesti contro il filosofo bestione, idealista, fascista e traditore dell’Italia, la sentenza di morte veniva eseguita da un gruppo di giovani generosi e la scena politica e intellettuale italiana liberata da uno dei più immondi autori della sua degenerazione. Per volere ed eroismo di popolo, giustizia è stata fatta».