«Generico e confuso»: non è nato ancora ma il Jobs Act di Renzi è già bocciato dal “Financial Times”
Generalista, troppo vago, senza ricadute concrete per sconfiggere la precarietà e risollevare l’occupazione. A pochi giorni dalla trasferta londinese di Matteo Renzi il Financial Times fa le pulci al Jobs Act che il premier ha esibito come il fiore all’occhiello del suo “cambio di verso”. Altro che velocità e rullo compressore, il giornale della City critica il passo lento del premier italiano che ha imrpovvidamente deciso di affidare alle Commissione parlamentari la definizione della riforma del lavoro che rischia di non vedere la luce prima di un anno. Perché limitarsi a linee guida vaghe, che non fanno capire qual è la rotta per regolare la giungla italiana dei contratti precari? si chiede polemicamente il FT. Critiche pesanti che minano la credibilità internazionale di Demolition man dipinta dai media italiani come una preziosa risorsa da mettere in campo sul piatto europeo. Come se non bastasse, la bocciatura arriva nella stessa settimana dell’incontro con il premier David Cameron e con tutto il gotha finanziario della City. «Di fronte a un’Italia che nell’ultimo anno ha perso circa 1.000 posti di lavoro al giorno, per Matteo Renzi la necessità di riformare radicalmente le inefficienze del mercato del lavoro è stata una specie di mantra costante; per gli investitori si tratta di un tema scottante», scrive il giornale della City ben informato anche delle ricadute sul dibattito interno all’Italia e dello stupore «di tutti» alla notizia del premier di lasciare al Parlamento il compito di tracciare il suo Jobs Act. Nel merito la bozza di proposte presentata venerdì scorso si limita a elencare «intenzioni generiche» per riformare il welfare per i disoccupati, migliorare le agenzie del lavoro e stabilire una nuova forma di contratto che dia ai lavoratori una progressiva sicurezza. Si tratta, secondo il quotidiano londinese, «di linee guida vaghe, prive di una chiara intenzione di arrivare a una singola, più universale forma di contratto di lavoro» che metta fine al «confuso sistema attuale» in cui la forza lavoro risulta divisa a metà: da una parte i garantiti, che godono di “contratti a vita”; dall’altra una considerevole minoranza con contratti a breve termine e pochi (o nessun) diritto». Sembra trascorsa un’era geologica da quando, soltanto a gennaio scorso, il Financial Times, con un commento non firmato, incoraggiava l’allora segretario del Pd ad andare avanti con la sua ricetta di 15 punti per «dimostrare agli elettori che è diverso da chi lo ha preceduto».