Almerigo Grilz, quel giornalista scomodo “dimenticato” dalla grande stampa italiana
È ancora lì a Caia, in Mozambico, sotto un grande albero, Almerigo Grilz, il reporter di guerra morto il 19 maggio di tanti anni fa, nel 1987, colpito alla testa mentre filmava gli scontri, ormai dimenticati di una guerra dimenticata, tra i guerriglieri della Renamo e forze governative. Almerigo, che fu il primo giornalista italiano a morire in un teatro bellico dopo la Seconda Guerra Mondiale, era nell’ex colonia portoghese per conto dell’agenzia giornalistica Albatross, da lui fondata a Trieste nel 1983 insieme con Fausto Biloslavo e Gianni Micalessin, specializzata sui reportage da zone “calde”. Grilz iniziò a fare questo mestiere, l’inviato di guerra, sin dall’inizio degli anni Ottanta: testimoniò la lotta degli afghani contro l’Armata Rossa, l’invasione di Israele del Libano, le guerriglie in Etiopia ed Eritrea, il conflitto cambogiano tra il dittatore sanguinario Pol Pot e il governo, gli scontri nelle Filippine, fino appunto al Mozambico, dove trovò il suo destino, come peraltro tanti altri giornalisti coraggiosi morti mentre facevano il loro rischioso lavoro. Ma il destino di Grilz merita di essere ricordato per un paradosso tutto italiano e antifascista: poiché era un noto missino, consigliere comunale a Trieste nonché dirigente del Fronte della Gioventù, la sua morte fu pressoché ignorata dai mass media nostrani, allora asserviti all’arco costituzionale, bizzarra definizione che identificava di fatto il regime mediatico che allora avvolgeva l’Italia degli anni di piombo e delle Brigate Rosse. mentre in tutti il mondo fu ricordato dai network e addirittura in Normandia fu iscritto il suo nome sulla lapide che ricorda i giornalisti uccisi in conflitti, in Italia lo ricordò brevemente solo il Tg1, dove il conduttore Paolo Frajese, col parere contrario del comitato di redazione, dette la notizia. Non solo: nel clima avvelenato dell’epoca, l’Ordine dei Giornalisti si oppose a che venisse messa una targa col suo nome di fronte all’ingresso della sede triestina, mentre il comune gli dedicò una strada. L’Unità lo definì un mercenario, laddove i suoi servizi furono invece sempre acquistati da canali americani e internazionali come la Cbs e da riviste come il Sunday Time e l’Express. In Italia i suoi servizi vennero ripreso dalla Rid, la Rivista Italiana di Difesa, ma con lo pseudonimo, per carità…. Quale la ragione di tanta avversione? Come già detto, il fatto che Almerigo Grilz fosse un missino, un dirigente missino, e che non aveva mai fatto mistero delle sue idee. A quesi tempi la sinistra era molto preoccupata per quello che definiva il “modello Trieste”, dove il partito di Almirante, grazie a Grilz, era riuscito a conquistare consensi in tutti gli strati della popolazione. Il suo carisma, la sua professionalità, la sua serietà lo fecero eccellere sia nella politica che nel suo amato mestiere, che negli anni lo portò sempre più lontano. Ma ogni volta che tornava in Italia, come hanno ricordato in un libro (“La vita come avventura”) a lui dedicato i suoi più cari amici Gasparri, Menia, Fini, Giacomelli, c’era sempre la telefonata, il caffè, l’incontro, la visita con i suoi “camerati” di allora. «Almerigo – scrisse Gasparri in quel libro – ha vissuto la sua vita come un’avventura. E ora fa parte della nostra storia, di quella della nostra comunità e di quella personale di chi porta dentro di sé tanti ricordi, tanti episodi, tanti discorsi, tanti progetti, alcuni realizzati, alcuni rimasti tali. Resterà per noi un giovane mito che sfida il tempo».
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