Dagli Usa conferme sul complotto anti-Berlusconi: preparato in Europa con la regia della Merkel per far spazio a Monti
Alla tesi del “complotto” ordito per “cacciare” Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi e sostituirlo con un governo “addomesticato” alle richieste di Bruxelles e di Angela Merkel si aggiungono nuovi inquietanti tasselli. A chiarire il quadro in cui è maturata tutta la vicenda è l’ex ministro Usa Timothy Geithner: nel 2011 funzionari europei chiesero agli Stati Uniti di aderire a un “complotto” per far cadere l’allora premier Silvio Berlusconi. L’ex ministro, nel suo memoir intitolato Stress test, (e del quale dà ampi stralci in anticipo La Stampa) racconta: «Ma ad Obama dissi: non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani». Geithner nel volume si sofferma sulla disastrosa situazione finanziaria che spinse quei funzionari a progettare quel piano. «A un certo punto, in quell’autunno, alcuni funzionari europei ci contattarono con una trama per cercare di costringere il premier italiano Berlusconi a cedere il potere; volevano che noi rifiutassimo di sostenere i prestiti dell’Fmi all’Italia, fino a quando non se ne fosse andato», spiega Geithner secondo quanto riporta l’articolo del quotidiano torinese. I ricordi più drammatici dell’ex ministro del Tesoro cominciano con l’estate del 2010, quando «i mercati stavano scappando dall’Italia e la Spagna, settima e nona economia più grande al mondo». L’ex segretario al Tesoro Usa scrive che aveva consigliato ai colleghi europei di essere prudenti: «Se volevano tenere gli stivali sul collo della Grecia, dovevano anche assicurare i mercati che non avrebbero permesso il default dei Paesi e dell’intero sistema bancario».
Ma all’epoca Germania e Francia «rimproveravano ancora al nostro West selvaggio la crisi del 2008», e non accettavano i consigli americani di mobilitare più risorse per prevenire il crollo economico europeo. Nell’estate del 2011 la situazione, racconta ancora l’ex ministro, era peggiorata, però «la cancelliera Merkel insisteva sul fatto che il libretto degli assegni della Germania era chiuso», anche perché «non le piaceva come i paesi che ricevevano assistenza europea – Spagna, Italia e Grecia – stavano facendo marcia indietro sulle riforme promesse». A settembre – riporta La Stampa – Geithner fu invitato all’Ecofin in Polonia, e suggerì l’adozione di un piano come il Talf americano ( Term asset-backet securities loan facility), cioè un muro di protezione finanziato dal governo e soprattutto dalla banca centrale, per impedire insieme il default dei paesi e delle banche. Fu quasi insultato. Gli americani, però, continua Geithner, «ricevevano spesso richieste per fare pressioni sulla Merkel affinché fosse meno tirchia, o sugli italiani e spagnoli affinché fossero più responsabili». E in questo quadro – rivela – arrivò anche la proposta del piano per far cadere Berlusconi: «Parlammo al presidente Obama di questo invito sorprendente, ma per quanto sarebbe stato utile avere una leadership migliore in Europa, non potevamo coinvolgerci in un complotto come quello». Malgrado il no degli Stati Uniti però i “funzionari europei” riescono a far passare il progetto. A novembre si tenne il G20 a Cannes, dove secondo il Financial Times l’Fmi aveva proposto all’Italia un piano di salvataggio da 80 miliardi, che però fu rifiutato. «Non facemmo progressi sul firewall europeo o le riforme della periferia, ma ebbi colloqui promettenti con Draghi sull’uso di una forza schiacciante».
Poco dopo cadde il premier greco Papandreu, Berlusconi fu sostituito da Monti, «un economista che proiettava competenza tecnocratica», e la Spagna elesse Rajoy. A dicembre Draghi annunciò un massiccio programma di finanziamento per le banche, e gli europei iniziarono a dichiarare che la crisi era finita: «Io non la pensavo così», dice ancora l’ex ministro. Infatti nel giugno del 2012 il continente era di nuovo in fiamme, perché i suoi leader non erano riusciti a convincere i mercati. «Io avevo una lunga storia di un buon rapporto con Draghi, e continuavo ad incoraggiarlo ad usare il potere della Bce per alleggerire i rischi. “Temo che l’Europa e il mondo guarderanno ancora a te per un’altra dose di forza bancaria intelligente e creativa”, gli scrissi a giugno. Draghi sapeva che doveva fare di più, ma aveva bisogno del supporto dei tedeschi, e i rappresentanti della Bundesbank lo combattevano. Quel luglio, io e lui avemmo molte conversazioni. Gli dissi che non esisteva un piano capace di funzionare, che potesse ricevere il supporto della Bundesbank. Doveva decidere se era disponbile a consentire il collasso dell’Europa. “Li devi mollare”, gli dissi». Così, il 26 luglio, arrivò l’impegno di Draghi a fare «whatever it takes» per salvare l’euro.