Grillo “prigioniero” del linguaggio della Rete non sarà un ospite comodo per l’immarcescibile Vespa

13 Mag 2014 13:06 - di Mario Landolfi

La presenza (lunedì prossimo) di Beppe Grillo nel salotto buono della politica, quello di Porta a Porta,  è – come avrebbero detto i latini – una notizia in re ipsa. Un po’ come l’ospitata del Cavaliere nell’arena della premiata coppia Santoro-Travaglio da cui alle ultime elezioni politiche partì la remontada berlusconiana. Il solo fatto che personalità tra loro inconciliabili si vedano e si parlino è già di per sé una novità e quindi una notizia. Inutile, dunque, chiedersi chi, tra Grillo e Vespa, sia il vero vincitore. Nell’attesa di godersi lo spettacolo, è fin troppo evidente che tra il più antico dei conduttori tv ed il leader politico di più recente conio si sia stabilita un linea di reciproca convenienza: Porta a porta si conferma luogo eletto della consacrazione politica imponendo il primato del peso specifico della trasmissione sui dati di ascolto mentre Grillo può scorazzare nella riserva di caccia dei consensi moderati. Con quale esito, si vedrà il 25 maggio.

In ogni caso, è interessante capire se al salto di qualità nella strategia della comunicazione dei Cinquestelle ne corrisponda un altro in quella politica, finora imprigionata nella gabbia del mito della “incontaminazione” assoluta. Il M5S attuale è una sorta di “frigorifero” stipato di cibi e bevande che però nessuno può mangiare e bere. Restano lì, inutilizzabili almeno fino al raggiungimento della mitica soglia del 51 per cento grazie alla quale i grillini potrebbero finalmente governare da soli senza l’assillo di alleati e sottopancia. La stessa fisima di Berlusconi. La differenza è tutta nel fatto che questi la maggioranza assoluta l’ha invocata a danno degli alleati grazie ai quali, intanto, governava. Difficile che Grillo voglia o possa fare lo stesso.

L’ex-comico, in realtà, si trova al bivio di fronte al quale prima o poi si sono imbattuti tutti i movimenti portatori di un fondamentalismo palingenetico e quindi costretto a dover scegliere tra la conservazione della “purezza delle origini”, denunciando le storture dell’umanità, ed il tentativo di raddrizzarle affrontando le “impurità” della politica. Rispetto al passato, tuttavia, Grillo corre un rischio inedito rappresentato dall’alternatività del suo linguaggio e di quello del suo Movimento non tanto rispetto al “politichese”, già archiviato dalla prosa diretta ed elementare del Cavaliere, quanto nei confronti di tutto ciò che induce a ricercare soluzioni complesse, percorsi arditi e riflessioni approfondite. La “lingua” di Grillo è quella della Rete, dove a prevalere è l’invettiva, l’insulto, l’anatema. Non è l’idioma dei politici, decisionisti compresi e neppure di quelli autoritari. Non è, per intenderci, quella di Mussolini. Piuttosto quella di Savonarola, che infatti annunciava la fine del mondo e non le riforme.

 

Grillo sederà nel salotto di Vespa come tantissimi leader della Seconda Repubblica ma è improbabile che si farà sedurre dal risotto, come D’Alema, oppure, come Berlusconi, firmerà un nuovo “contratto con gli italiani” da dietro una scrivania di ciliegio. Tenterà, piuttosto, di conciliare l’anatema con l’esposizione ragionata. Dovesse prevalere il primo, dovremo rassegnarci a riconsiderare nel nostro sistema politico la presenza di un altro polo (auto)escluso. Almeno fino a quando il novello Savonarola non deciderà di scavalcare il recinto della “purezza” on line.

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