I giovani di Confindustria, Marco Gay e la sindrome dell’innovazione

6 Mag 2014 20:35 - di Mario Aldo Stilton

Innovazione, innovazione. No, non fatevi trarre in inganno: la Smorfia del compianto Massimo Troisi, di Lello Arena ed Enzo De Caro non c’entra nulla. Non è cabaret. È Confindustria. Meglio, i giovani – cioè il futuro – dell’associazione degli imprenditori. Rampolli che nascono con un’azienda di famiglia, crescono a suon  budget e ricavi e che, a seconda del fluttuante destino, puoi sempre trovarteli alla guida di Enti o Eni o Enel o, perché no?, di qualche ministero tipo lo Sviluppo Economico. Ma, insomma, al netto di qualche antipatia da vecchi prevenuti, la notizia dell’elezione di Marco Gay , torinese classe 1976, alla guida dei giovani confindustriali e di quelle che meritano di essere registrate. Il punto è che il tradizionale proclama che, come sempre accade, viene immesso nell’etere dal neo eletto sa già di stantio. «La mia parola d’ordine: innovazione.  Giovani, responsabilità, futuro, merito, competenza, cambiamento»: se queste sono, come lui stesso ha detto, le linee guida della sua azione futura, c’è da star tranquilli. E pure freschi. E poiché è doveroso mantenere la giusta equidistanza dalla politica, il buon Gay ha anche voluto aggiungere questo durissimo messaggio per Matteo Renzi: «È giovane come noi, lavoriamo insieme».  Tomasi di Lampedusa plaude convintamente dall’Aldilà. Insomma, si può scommettere: tutto rimarrà assolutamente come prima. Come sempre. L’apporto dei giovani rampolli del nostrano capitalismo alle fortune di questa sgangherata nazione sarà quello di sempre: invisibile, impalpabile. Insomma, inutile.

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