Il destino di Genovese, quando la gogna è imposta dal partito…
Silvio Berlusconi vs Giorgio Napolitano. Matteo Renzi vs Beppe Grillo. Claudio Scajola vs Chiara Rizzo Matacena. Edmondo Bruti Liberati vs Alfredo Robledo. Destra e sinistra. Sopra e sotto. Andata e ritorno. Tutti contro tutti. Venghino, sjori venghino. Ultimi dieci giorni di campagna elettorale. Ultimi fuochi prima della batteria finale. Al gran ballo della repubblica non manca proprio niente.
Neppure la gogna per questo Francantonio Genovese. Uno che c’ha stampata un’espressione così mite e dimessa, smarrita che quasi quasi ti verrebbe voglia di dargliela pure una mano a sottrarsi all’arresto incombente anche a costo di rischiare il favoreggiamento. Uno che, a guardarlo con quegli occhietti miopi ti dava l’impressione che, fosse stato per lui, se ne sarebbe tornato, già da tempo, quatto quatto a Messina. Attraversando lo stretto magari alloggiato nella sala timone di una delle sue enormi Caronte & Tourist per non creare impaccio. Uno che invece è dovuto restare lì, nell’ Aula di Montecitorio, per giorni e giorni a sperare e a subire il supplizio cui il suo stesso partito l’ha costretto. Perchè bisognava dare l’esempio e togliere argomenti alle orde vocianti grilline. E Renzi era stato chiaro: «Decidere subito!». Un imperativo categorico che aveva tolto ogni residua speranza all’imprenditore messinese. Nessun rinvio. Campagna elettorale. Voti che potrebbero perdersi. Voti che devono essere conquistati. Uno a uno. E così è stato. I suoi compagni, guardati a vista dalla ancella Boschi e dal paggetto Scalfarotto, lo hanno allegramente, anche se metaforicamente, accompagnato al carcere di Gazzi. Ove c’erano ovviamente le telecamere ad aspettarlo. Già perché lui, mentre il rito andava in scena, non è rimasto seduto al suo posto a Montecitorio. Nient’affatto. È rientrato nella città dello Stretto. La città della Madonna della Lettera di cui era stato Sindaco e padrone quasi assoluto. Che gli ha regalato migliaia di preferenze e la soddisfazione di vincere le parlamentarie piddine. Quasi ventimila preferenze. Un botto di voti. Brindisi e parentela gongolante. Molto ingombrante. Commesse milionarie a moglie, cognati, nipoti. Un potere quasi assoluto. Sic transeat… perciò oggi avrà pure pensato. Così come avrà pure maledetto il giorno in cui gli è balenata l’idea della politica. Un vizio di famiglia che sembrava non averlo intaccato. Con quel padre ex senatore e quello zio, quel Nino Gullotti ras della Dc dell’isola, così ingombrante. Che un mestiere e pure parecchio redditizio l’aveva già. Che un piccolo impero era riuscito a metterlo insieme e gestirlo. Sin da quando, con lungimiranza, per conto e insieme alla famiglia Franza comprò il monopolio navale dell’attraversamento dello Stretto di Messina. Rilevando l’azienda dal vecchio armatore reggino Amedeo Matacena senior. Padre del rampollo che sta a fare il maitre a Dubai.