Il vizietto della “giustizia ad orologeria”. Sarà un caso, ma scoppia sempre in campagna elettorale
L’arresto di Paolo Romano, presidente del Consiglio regionale della Campania, esponente del Nuovo centrodestra e candidato alle europee di domenica prossima è il classico caso di “giustizia ad orologeria”. Premesso come sempre che quando emergono ipotesi di reato è bene che la magistratura approfondisca e faccia il suo lavoro serenamente facendo emergere la verità dei fatti, suona oggettivamente anomala la decisione di confinare Romano ai domiciliari a pochi giorni dalle elezioni.
L’accusa che viene mossa all’esponente politico è tentata concussione perché avrebbe fatto pressioni sul direttore generale dell’Asl di Caserta per avere uomini di sua fiducia in posti chiave dell’azienda sanitaria, dal direttore sanitario al direttore amministrativo. La denuncia è partita dallo stesso manager destinatario delle pressioni e i pubblici ministeri nel formulare il capo d’imputazione erano stati più teneri del gip, accusandolo solo di traffico di influenza, un nuovo reato dai contorni poco chiari che il politico commetterebbe quando utilizza il suo potere per ottenere qualcosa, magari senza alcun ricatto o atto di forza.
In attesa di sapere quale sarà la verità giudiziaria, che probabilmente conosceremo tra qualche anno, appare incomprensibile la tempistica elettorale dell’intervento della magistratura. La Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha chiesto al gip di arrestare Romano il 3 febbraio scorso. Il giudice delle indagini preliminari ha preso tempo per studiare gli atti, a tal punto da aggravare l’imputazione iniziale, e dopo tre mesi e mezzo ha deciso per l’arresto. A questo punto la domanda sorge spontanea: perché dopo aver aspettato oltre cento giorni per firmare una richiesta di arresto non si è potuto attendere una settimana al fine di non turbare il delicato passaggio democratico rappresentato dalle elezioni?
Le date parlano chiaro ed è indubbio che l’arresto di Romano è frutto di “giustizia ad orologeria”, con l’aggravante che il gip non ha tenuto conto del fatto che la fretta di creare clamore in campagna elettorale di fatto viola il diritto all’elettorato passivo di un candidato alle elezioni europee.
C’è un precedente vecchio di quindici anni che val la pena ricordare. Era il giugno del 1999 ed era in corso la campagna elettorale europea quando la procura di Roma chiese ed ottenne una serie di arresti per un presunto comitato d’affari. Tra coloro che furono destinatari di una misura agli arresti domiciliari c’era anche Antonio Rastrelli, fino a poco prima presidente della Regione Campania e candidato alle europee per Alleanza Nazionale. Rastrelli fu poi prosciolto con tante scuse perché vittima di un errore giudiziario, così come altri, e l’inchiesta finì in una delle tante bolle di sapone. Allora però il gip romano Otello Lupacchini pur accogliendo la richiesta di arresti domiciliari per Rastrelli li sospese fino alla conclusione della campagna elettorale, sostenendo nel suo provvedimento che il diritto a far campagna elettorale rientrava nel diritto costituzionale a candidarsi e a chiedere il consenso ai cittadini e che non poteva essere limitato in quel momento, divenendo più importante delle esigenze cautelari.
Ecco, sarebbe bastato che il gip di Santa Maria Capua Vetere conoscesse quanto scrisse allora Lupacchini per evitare l’ennesima uscita giudiziaria ad orologeria che al momento serve solo a chi vuol delegittimare la politica facendo il gioco di Grillo e di chi cerca di sfasciare le istituzioni.