La superidea di Marino per fare cassa: due cuori e un Colosseo…
Si chiama “Sposarsi a Roma” ed è una delibera approvata dal consiglio comunale che consentirà i cosiddetti “matrimoni all’americana”: aprirà alla possibilità di celebrare il rito civile non più solo in Campidoglio o nei municipi, ma anche in altre location pubbliche o private.
Qualcosa del genere già avviene in altre città italiane, che da tempo hanno conferito lo status di “casa comunale” a luoghi particolarmente belli, prestigiosi o anche solo molto apprezzati da chi decide di convolare a nozze. Nella Capitale potrebbe accadere anche qualcosa in più: se dovesse arrivare il benestare del ministero, potrebbe essere possibile sposarsi perfino al Colosseo. Il consigliere capitolino Fabrizio Panecaldo del Pd, primo firmatario della delibera, ha salutato la novità come un fatto estremamente positivo, parlando proprio dell’eventuale disponibilità dell’Anfiteatro Flavio come di un esempio della portata del provvedimento. Ora, molte riflessioni si potrebbero fare sull’opportunità di utilizzare quel monumento e altri siti di prima importanza per uno scopo del genere, ma prima di arrivare a questo tipo di considerazioni varrà la pena soffermarsi su cosa implichi sposarsi oggi civilmente a Roma. Se entrambi i coniugi sono romani, tutto sommato ce la si cava con poco. Ma se uno dei due coniugi non è residente o, peggio ancora, è un non residente magari pure divorziato allora è meglio farsi il segno della croce e affidarsi al santo protettore dei cittadini vessati dalla burocrazia e dai disservizi. Funziona così: il residente fa la domanda al suo Municipio di riferimento, ma le carte dall’altro Comune, quello dell’aspirante coniuge non residente, devono arrivare alla sede capitolina di via dei Cerchi, che a sua volta, poi, le deve mandare al Municipio. Già così appare un percorso un po’ tortuoso, ma l’apparenza inganna: il percorso non è un po’ tortuoso, è molto tortuoso e, soprattutto, a ostacoli. Può capitare – e, fidatevi, è capitato – che Municipio e Comune non si parlino, che gli impiegati dell’ufficio matrimoni dell’uno e dell’altro non sappiano reciprocamente a chi fare riferimento, che ti dicano che non sanno quale numero di telefono chiamare per verificare che effettivamente il Comune del coniuge non residente abbia mandato la carta che mancava, come ti è stato assicurato e confermato con tanto di ricevuta del fax (sì, usano ancora i fax). Può capitare – e, fidatevi, è capitato – che si debba fare fisicamente la spola tra via dei Cerchi e il proprio Municipio e, dopo essersi procurati con astuti sotterfugi il numero di almeno uno dei due uffici, doverli mettere in contatto con il proprio cellulare, perché infine si parlino tra loro e si mettano d’accordo su quale sia il numero di fax giusto per spedirsi, Roma per Roma, la carta che mancava e che era stata inviata ormai settimane prima – mettiamo – da Milano.
Ancora Panecaldo rivendicando i meriti della delibera ha detto che incrementerà il turismo, che «romani e non, nubendi in arrivo da tutto il mondo, coppie che festeggiano nozze d’argento, d’oro e di platino, potranno farlo all’interno delle più belle cornici di Roma». In linea del tutto teorica ha ragione. E, in linea del tutto teorica e senza arrivare alle valutazioni sull’opportunità o meno di concedere il Colosseo, è vero che la delibera è foriera di vantaggi per tutti. In linea del tutto teorica, ne avranno vantaggio le coppie che, avendo più “case comunali” a disposizione, dovrebbero registrare un abbattimento delle liste d’attesa per ottenere una sala in cui celebrare il rito, oltre poi in alcuni casi a poter organizzare nello stesso posto anche il banchetto. E sempre in linea del tutto teorica, ne avrà vantaggio la città, che farà doppiamente cassa, affittando le sue location e giovandosi dell’indotto del turismo matrimoniale. Prima di prenotare sale e affittare location, però, chi vuole sposarsi a Roma deve riuscire a fare le pubblicazioni. E qui si passa dal teorico al pratico, perché si può anche ottenere il via libera del ministero per il Colosseo, ma se la coppia arrivata – mettiamo – dal Giappone poi deve fare la spola tra via dei Cerchi e chissà quale ufficio, si può parlare quanto si vuole di «Grande Bellezza a disposizione per i matrimoni civili», come ha fatto Panecaldo, ma si finisce comunque per fare una grande figuraccia. Si finisce, soprattutto, per apparire vacui e sganciati dalla realtà. Non esattamente una novità, in una città in cui l’amministrazione comunale immagina cose come la pedonalizzazione dei Fori, ma non dice una parola sul fatto che per fare sei chilometri in macchina ci può volere un’ora. Per non parlare, per carità di Patria, di quello che ci può volere in autobus.