Libri. Il carteggio Duse-D’Annunzio, la corsa che rende felici, le imprese medium tech, il ritorno del lupo, l’immaginario mafioso
Eleonora Duse nel primo biglietto per Gabriele d’Annunzio scrisse: “Vedo il sole”. E parlava di lui, che definirà il loro incontro “un incantesimo solare”. Il loro amore inaugurò il divismo moderno e alimentò le cronache mondane per anni. I detrattori hanno sostenuto che non fu un vero amore. La questione è più complessa. Il loro, semmai, fu un incontro di reciproco interesse. Il connubio artistico con la più celebrata attrice del tempo avrebbe permesso a Gabriele di avvicinare il pubblico ai suoi miti e alla sua poesia. A lei premeva rinnovare il suo repertorio e legare la propria arte a testi che fossero “suoi” e soltanto suoi. E per di più cadde fulminata dal grande seduttore che, pur amandola, finì per stancarsene, come sempre. Con il Carteggio Duse-d’Annunzio vedono finalmente la luce documenti importantissimi. Sino ad oggi, la vicenda passionale dei due divi, fra le più celebri della modernità, era narrata nei termini leggendari che contrapponevano il carnefice Gabriele alla vittima Eleonora. Stando alla vulgata, l’attrice, travolta dalla passione, avrebbe infatti deposto fama e denaro ai piedi del poeta venerato, ricevendone in cambio tradimenti e umiliazioni. Oltre alla novità dei contenuti, il Carteggio presenta il fascino di una scrittura che non somiglia a nessun’altra. Ai limiti dell’analfabetismo, la Duse scrive come recita, affidando la piena emotiva e passionale all’oralità, alla mimica, al gesto. Poiché della recitazione teatrale della grande attrice non ci resta alcuna testimonianza, le lettere colmano un vuoto, restituendoci l’interprete unica e straordinaria, per la quale il pubblico dell’intero pianeta ha delirato. (Eleonora Duse-Gabriele d’Annunzio, Come il mare io ti parlo. Lettere 1894-1923, Bompiani, pp. 1406, euro 30)
«Correre rende felici». Si potrebbe riassumere così il percorso tracciato da Gaia De Pascale sulla corsa come filosofia di vita, e insieme metafora stessa del vivere. Chi corre lo fa per spezzare ogni condizionamento o limite: si oppone al destino, esprime la propria nostalgia per l’infanzia perduta o per un ideale di purezza e autenticità a cui tendere, sfoga emozioni e tensioni sopite da troppo tempo, supera le barriere che la vita gli ha imposto. In una parola, correre è sinonimo di libertà, oltre i vincoli sociali, culturali, oltre le sbarre di qualsiasi prigione, mentale o reale, fisica o emotiva. Ecco quindi una ricchissima carrellata di figure, ognuna emblema di tale pulsione, dal mito greco ai conflitti sociali del Novecento, dalla savana africana ad Alice nel Paese delle Meraviglie, dagli scatti brucianti dei velocisti alle imprese titaniche degli ultrarunner, fra cui spicca il leggendario Marco Olmo. Le storie raccolte in questo libro sono tante e diversissime fra loro, lontane nello spazio e nel tempo della storia, ma non è difficile riconoscerne un centro comune. Quando si tratta di correre, agonismo e competizione non contano più di tanto: l’obiettivo non è sconfiggere l’avversario o inanellare l’ennesimo record, ma arrivare in fondo, raggiungere il traguardo, vincere la sfida che prima di tutto affrontiamo con noi stessi. (Gaia De Pascale, Correre è una filosofia, Ponte alle Grazie, pp 188, euro 14).
L’Italia possiede una straordinaria capacità di innovazione, un incredibile capitale di creatività e di esperienza, che risiede in un comparto importante della nostra economia: le imprese medium tech. Tipiche del manifatturiero tedesco così come di quello italiano, sono le fabbriche di un’innovazione incrementale, non distruttiva, ma costruita, mattone dopo mattone, sulle esperienze del passato, valorizzando quello che Gianfelice Rocca chiama «merito ordinario». Una forte presenza medium tech ha conseguenze di ampia portata, per tutta la società. Non ultima, consente di mantenere in piena attività l’ascensore sociale. Frutto dell’esperienza di lungo corso a capo di un grande gruppo in ambito internazionale, il libro segna una presa di posizione decisa nel dibattito sulla crescita e sul ruolo dell’industria. È la testimonianza della passione per la lettura dei macro-fenomeni che hanno mutato il volto del globo e alla luce dei quali anche le politiche pubbliche dovrebbero essere ricalibrate. Rocca descrive dinamiche e fatti, fornisce argomenti e idee e dimostra che la globalizzazione non ci obbliga necessariamente a un destino da comprimari. Ma dovremo essere capaci di partire dai nostri punti di forza, da politiche che possano valorizzarli, da un cambiamento culturale che esalti ciò che funziona nel nostro Paese e sappia farne un esempio per tutti. (Gianfelice Rocca, Riaccendere i motori, Marsilio, pp. 144, euro 16,50)