Niente Comunione: «Noi cattolici e divorziati trattati da “scomunicati”». I movimenti chiedono un cambio di mentalità

28 Mag 2014 19:52 - di Guglielmo Federici

Non c’è bisogno di essere per forza cattolici o divorziati per comprendere l’importanza che ha per un fedele non sentirsi più “condannato” ed emarginato dalla propria Chiesa. per questo c’è molta attesa per il Sinodo dei Vescovi di ottobre: «Mi aspetto che la Chiesa non ci tratti più da scomunicati. Si trovi almeno il modo di darci una benedizione al momento della comunione. Rimanere seduti, mentre gli altri fedeli si avvicinano all’eucarestia, è un momento brutto. C’è gente che per questo a messa non ci va più». Le parole di Tiziana G., divorziata che da 17 anni vive una seconda unione – una figlia di 31 anni dal primo matrimonio e un figlio di 15 dal secondo – esprimono tutto il dolore dei fedeli cattolici che solo perché hanno vissuto il fallimento delle nozze celebrate in chiesa e si sono ricostruiti una famiglia vengono respinti dall’avvicinarsi ai sacramenti. Quella di Tiziana è una delle tante storie con cui l’organizzazione Famiglie Nuove, figlia del Movimento dei Focolari, si confronta ogni giorno da quando oltre dieci anni fa ha cominciato a incontrare anche separati e divorziati. «Abbiamo trovato resistenza anche nella Chiesa», spiega Anna Friso, che col marito Alberto ne è una delle dirigenti, entrambi delegati presso il Pontificio Consiglio della Famiglia. «E oggi ci sono tanti separati a cui non viene data la comunione». Il Sinodo straordinario sulla Famiglia che papa Francesco ha convocato per il prossimo ottobre, con quello ordinario dell’anno prossimo, ha aperto tante aspettative specie tra chi vive situazione difficile, legami dissolti, ostacoli anche nel sentirsi parte della Chiesa. Dice ancora Tiziana G.: «Il giorno della prima comunione di mio figlio, non poterla fare anch’io, è stato un grande dolore. Non poter accedere neanche alla confessione mi pare quanto meno un po’ eccessivo». La Chiesa ha tempi lunghi, «ma mi aspetto soprattutto che cambi la mentalità».

Come sempre le parole di Papa Francesco inducono a sperare in un cambio di mentalità perché si preoccupano della realtà umana, più che della dottrina, quando dicono: «Se un amore fallisce, dobbiamo sentire il dolore del fallimento, accompagnare quelle persone che hanno avuto questo fallimento nel proprio amore. Non condannare!». Perché il vero problema oggi è che le famiglie non si formano più, «i giovani neanche ci provano e preferiscono vivere da soli. E per chi ha avuto esperienze negative nel matrimonio, la chiusura da parte della Chiesa, aggiunge solo altra sofferenza. Dal Sinodo mi aspetto che ci sia grande ascolto di quello che dicono le famiglie», dicono dal movimento.. «Salviamo la famiglia, che è la cosa più importante che abbiamo – fa appello Paolo R., tre figli (uno è astrofisico in Giappone), che ha visto naufragare il suo matrimonio e che si è salvato dalla deriva psicologica riscoprendo la fede e ritirandosi nel suo “eremo” vicino Perugia. «Vivere da separati non è facile. Il matrimonio è sempre mettere la propria vita nelle mani di uno sconosciuto, anche se il matrimonio cristiano, poi, è una miscela misteriosa tra umano e divino. E dal Sinodo mi aspetto che venga affermato forte che quello che conta è l’amore».

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