Nigeria, un team Usa per salvare le liceali. La solidarietà per le ragazze e le loro madri contagia il web
L’Occidente si mobilita per ritrovare le oltre duecento liceali ragazze rapite da Boko Haram. Una squadra di esperti americani incaricati di collaborare alle ricerche è già arrivata in Nigeria. L’intelligence Usa è convinta che le centinaia di studentesse siano state separate: «Pensiamo che siano state divise in piccoli gruppi», ha detto alla Cnn l’ammiraglio John Kirby, addetto stampa del Pentagono, sottolineando che questo complica il tentativo di rintracciare le giovani. E l’ex premier britannico Gordon Brown, oggi inviato Onu per l’istruzione, ritiene che la ricerca di notizie debba essere portata avanti in “Niger, Camerun e Ciad”. «È fondamentale – ha detto – utilizzare tutte le informazioni possibili per trovare le ragazze prima che vengano disperse in tutta l’Africa, e questa è una possibilità più che reale». Da parte sua il presidente nigeriano Goodluck Jonathan, parlando dal World Economic Forum, si è detto speranzoso di “conquistare i terroristi”. «Il rapimento di queste giovani – ha chiosato – sarà l’inizio della fine per il terrore nel Paese». Ma le polemiche dei giorni scorsi non si placano, dopo la marcia delle mamme contro l’esercito nigeriano si scaglia Amnesty International: «Alcune testimonianze schiaccianti raccolte rivelano che le forze dell’ordine nigeriane non hanno reagito agli avvertimenti ricevuti riguardo a un possibile attacco armato di Boko Haram contro un liceo pubblico di Chibok». «Amnesty International – si legge in una nota – ha avuto la conferma (…) che il quartier generale dell’esercito a Maiduguri era stato avvertito di un imminente attacco poco dopo le 19:00 del 14 aprile, circa quattro ore prima che Boko Haram lanciasse il suo blitz». E poi: l’esercito non avrebbe potuto organizzare le truppe necessarie per fermare l’attacco «a causa delle risorse limitate a disposizione e della paura di confrontarsi con i gruppi armati spesso meglio equipaggiati». Forte mobilitazione anche sul web. «Ridateci le nostre ragazze». Un semplice hashtag, partito in sordina, sta catalizzando l’attenzione del mondo sulla drammatica vicenda. Ormai è stato rilanciato oltre un milione di volte da molte personalità internazionali e anche da Michelle Obama. La protesta ora esce anche dal cyberspazio e raggiunge le piazze. Il tweet della first lady, con tanto di foto in cui appare con in mano un cartello con scritto #BringBackOurGirls, si unisce a quelli di molte altre personalità della politica o dello spettacolo, come Hillary Clinton e sua figlia Chelsea, la ragazza pakistana Malala, Naomi Campbell, Angelina Jolie, Sean Penn e molti altri divi di Hollywood. Tutto è cominciato quasi per caso. Il 23 aprile, durante un discorso pronunciato a una cerimonia dell’Unesco in Nigeria, Ozy Ezekwesili, vicepresidente della Banca Mondiale per l’Africa, ha esortato il governo di Abuja ad intervenire e ha detto: «Ridateci le nostre ragazze». Un avvocato nigeriano ha sentito la frase e l’ha twittata, creando l’hashtag con la speranza di aumentare la consapevolezza attorno a un dramma che fino ad allora aveva avuto ben poco spazio sulla stampa internazionale. Nel giro di alcuni giorni, su Twitter #BringBackOurGirls è diventato un fiume in piena, ed ora è costantemente tra i dieci più twittati, mentre i media hanno iniziato a seguire con più attenzione la vicenda. Dal web #BringBackOurGirls è ora arrivato sulle magliette e sui cartelli di migliaia di manifestanti che sono scesi in strada o si preparano a farlo ad Abuja, ma anche a Londra, Dublino, Los Angeles e anche Washington.