Carisma e capacità oratorie di un leader che entusiasmava le folle
Di Giorgio Almirante, Indro Montanelli scrisse che “era stato un politico cui si poteva dare la mano senza sporcarsela”. Un uomo coraggioso, aggiunse, che andava a tenere comizi con grande disperazione dei questori nelle zone più ostili e nei momenti caldi. Dotato di un forte carisma e di una capacità oratoria fuori dal comune, Almirante sapeva attrarre militanti e avversari politici in quelle che diventarono assai presto le proverbiali piazze del leader missino. La piazza, appunto, agorà e metafora di un certo modo di intendere la politica, luogo simbolo e spazio definito in cui si incrociavano ferventi passioni, irriducibili ideali, gesti , tonalità, colori, entusiasmi, fremiti , sventolio di bandiere e pulsioni scandite da slogan che hanno accompagnato la storia del Movimento sociale italiano negli anni difficili della “conventio ad escludendum”, dell’ arco costituzionale, dell’antifascismo militante, dell’estremismo armato, degli anni di piombo. In quegli occhi di un azzurro intenso e profondo, capaci di fissare e mettere a disagio interlocutori troppo esuberanti e conquistare folle entusiaste, scorgevi la tenerezza suggestiva di un galantuomo di altri tempi insieme alla forza esplosiva di un animo corroborato da una fede profonda e segnato dalle sofferenze che ne avevano accompagnato il percorso. In quelle piazze accorrevano seguaci e avversari, un fiume che ogni volta si riversava con puntualità sorprendente per ascoltare il suo messaggio, il suo discorso, per inebriarsi di un eloquio superbo, unico, perfetto nella dizione, esaltante nei collegamenti concettuali. Era la politica che si faceva sostanza nelle parole, che trovava la sua dimensione alta e nobile in stringenti e sempre appropriate argomentazioni. Nulla che fosse banale, niente che assumesse la forma leggera del luogo comune, di un intercalare asfittico e privo di mordente nella elaborazione del pensiero. Almirante sapeva condire il pensiero con frasi ad effetto, mantenendo sempre alta l’attenzione, senza mai scadere di tono. Anzi il tono, l’uso della voce con impareggiabile maestria oratoria, si fondevano con la solidità delle idee. Il comizio, con la sua ritualità e con le sue forme, veniva usato da Almirante per lanciare aspre e veementi accuse alla partitocrazia imperante e ai ladri di regime, per sottolineare la diversità di un ceto politico, l’indignazione verso ogni forma di corruzione, per difendere il senso della Nazione, la concezione dello Stato, l’azione delle forze dell’ordine contro la criminalità, le categorie più vessate della società , per stimolare l’orgoglio di Patria e indicare ai giovani la strada del futuro. Un indiscutibile fiuto tattico, unito ad una eccezionale capacità persuasiva, erano elementi che lo facevano entrare in simbiosi con le folle. Da uomo colto qual era non gli erano certo sconosciute le analisi di Gustave Le Bon sulla psicologia delle folle. Sapeva che l’empirica arte della politica consiste largamente nella creazione di opinioni, nella capacità di toccare le corde più nascoste del subconscio e le sensibilità delle umane coscienze. Nello sfogliare l’album dei ricordi, quelle piazze gremite fino all’inverosimile, a Roma come a Milano, a Bolzano come a Canicattì, nei mille e mille comuni che, con infaticabile dedizione , il leader missino toccava in ogni campagna elettorale, lasciano una traccia indelebile della generosa grandezza di un politico elegante, lungimirante, magnetico, amato. Un politico che seppe parlare di pacificazione alle folle plaudenti nei momenti più bui della nostra Repubblica.