“Schiena dritta e coraggio”: il ricordo di Alemanno, Matteoli, La Russa, Gasparri e Meloni
Ricordi personali, emozioni che riaffiorano, riflessioni postume intorno a un protagonista indiscusso del d0poguerra, al leader storico della destra italiana dallo sguardo che strega, al politico di razza, al pioniere che ha lasciato il segno nella storia non solo di una comunità ma della nazione.
Gianni Alemanno lo ricorda così: «Di Almirante non potrò mai dimenticare quegli occhi carismatici, di un azzurro intenso, che quando ti guardavano ti passavano da una parte all’altra. Era la sua “arma” per coinvolgerti, per spingerti a fare di più nel partito, o per sfidarti. Non scorderò mai come mi puntò addosso lo sguardo quando passai con Pino Rauti, era il congresso di Sorrento. E poi – aggiunge – i comizi a piazza del Popolo, da quel palco ti faceva davvero innamorare dell’Italia, di Roma… E ancora la sua lungimiranza impressionante, penso alla campagna per l’elezione diretta del sindaco e alla battaglia contro le regioni, insomma, alla capacità di scrivere un riformismo istituzionale per oltre vent’anni». Non manca qualche neo. «Certo – ammette l’ex sindaco della Capitale – c’è il capitolo sulla pena di morte, che venne utilizzato come una clava nella comunicazione. Personalmente non ero d’accordo ma oggi ne comprendo le ragione, quell’essere politicamente scorretto per arrivare agli italiani e marcare le distanze. In pochi ricordano il coraggio di Almirante di schierare l’intero partito sulle posizioni anti-nucleariste del Fdg. Quando disse di no pensava alla centrale di Latina, alla storia della città di fondazione, al suo patrimonio…».
Altero Matteoli volge lo sguardo all’indietro e prova soprattutto “una certa” emozione. «Di fronte alla politica attuale ricordare la figura di Almirante mette i brividi. Lui, Berlinguer… sembra di parlare di secoli fa. Erano gli anni del grande scontro di idee, dei confronti sanguigni ma corretti, oggi è tutta una marmellata indistinta». Sono tanti i ricordi personali, l’ex ministro ne sceglie uno: «Ricordo agli inizi degli anni ’70 la raccolta di firme per l’istituzione della pena di morte, convincemmo oltre due milioni di italiani. All’epoca ero segretario provinciale di Livorno e, anche se in disaccordo con quella scelta, mi impegnai sodo nell’organizzazione dei banchetti tanto che in consiglio comunale la sinistra mi attaccò duramente con un ordine del giorno. In quell’occasione mi alzai e dissi di difendere la scelta del partito ma di essere personalmente contrario, Panorama riportò la notizia e venni chiamato da Almirante a Roma. Mi chiese conto della mia contrarietà, io gli espressi la mia convinzione che nessun nessun uomo può decidere la vita e la morte di un altro uomo. Poco tempo dopo mi chiese di fare il segretario regionale della Toscana, “te la senti?'”, mi disse. E quello fu il mio trampolino di lancio. Quando entrai per la prima volta in Parlamento, nell’83, e lo incontrai, prima mi fece i complimenti poi mi disse testualmente “Qui facciamo cose serie, se sei bravo ci metti cinque anni per capire come funziona, se non sei bravo ancora di più».
Ignazio La Russa capisce davvero chi è Almirante nel 1969, fino ad allora – dice – “era un amico di mio padre che vedevo da ragazzo e non era ancora il segretario del Msi”. «Quandò morì Arturo Michelini, ricordo che tutto il partito, al di là delle componenti, capì che rappresentava l’unica via d’uscita e lo elesse compattamente alla segreteria. Erano gli anni duri della contestazione: a Milano nella nostra sede, a due passi da San Babila, ogni giorno appendevamo dal balcone che affacciava sul cortile un lenzuolo bianco con scritto il numero degli arrestati e dei feriti. Ricordo perfettamente un giorno di autunno, pioveva a dirotto, in cui Almirante piombò in sezione: ci avvertirono poco prima, davanti a due-trecento ragazzi iniziò a parlare, parlare, parlare non curante della pioggia battente. Sapeva bene che l’esempio vale molto più delle parole, così iniziò il invitandoci a “inventare” un nuovo linguaggio, a svecchiare le vecchie liturgie, poi si interruppe e disse, “che fate con questi ombrelli, toglieteli”. Parlò ininterrottamente per cinquanta minuti sotto l’acqua».
Il giovane Maurizio Gasparri, da segretario provinciale del Fronte della Gioventù di Roma, ha avuto molto a che fare con il leader del Msi, anche nei momenti più difficili e bui per la comunità accerchiata dei militanti di destra. «Ricordo che seguiva tutto di persona, si informava, era presente. Soprattutto nella fase più drammatica, quella degli attentati, dopo la strage di Acca Larenzia veniva spesso da solo senza autista con la sua 126 bianca, per dare un esempio a tutti noi, si esponeva ai nostri stessi rischi, anzi di più esasendo molto più “riconoscibile”. Oggi lo ricordano e lo omaggiano tutti, anche quanti all’epoca si trovavano su altri fronti interni. Ricordo che nei primi anni ’80 insieme ad altri, Luciano Laffranco, Nino Sospiri, Ugo Martinat, Ignazio La Russa, tentammo di costruire un gruppo di giovani tra i 25 e i 40 anni che guardasse alla prospettiva di un ricambio generazionale. Dietro di noi avevamo Pinuccio Tatarella, mentre Fini anche allora era molto cauto. Chiedemmo ad Almirante un incontro ufficiale in cerca di legittimazione, ma quando sulla stampa uscì la notizia, lui, sempre molto severo nella gestione del partito, sconvocò la riunione». Infine un ricordo personalissimo. «Ho avuto tra le mani l’ultimo scritto di Almirante prima di morire. Nella primavera 1988 io e Robeto Menia facemmo un libro di testimonianze su Almerigo Grilz, morto a Mogadiscio un anno prima, e chiedemmo al segretario di scrivere qualcosa su Almerigo, che conosceva bene avendo anche fatto il consigliere comunale a Trieste. Era già molto malato e stanco, ma non mancò all’impegno. Ci incontrammo a via della Scrofa e mi dette il “pezzo” scritto con la macchina da scrivere, anche con qualche errore di battitura».
Per Giorgia Meloni, classe 77, Giorgio Almirante è stato un gigante e un grande italiano. «Era un uomo schietto, intento a cambiare radicalmente l’impostazione culturale delle istituzioni che amava profondamente. Se oggi si può parlare di pacificazione, si può chiudere una pagina della storia nazionale e aprirne una nuova, lo si deve anche al suo contributo politico e morale. Gli piaceva dire “noi possiamo guardarti negli occhi” e l’Italia, soprattutto in questo momento ha un disperato bisogno di persone che possano dire al popolo: “Possiamo guardarti negli occhi». Per l’ex ministro della Gioventù Almirante resta l’unico vero leader della destra italiana che ha avuto il “torto” di avere ragione prima degli altri. «Pensiamo al presidenzialismo, una sua battaglia storica sulla quale nel 1979 presentò una articolata proposta di legge. Una visione a lungo termine al servizio dell’Italia, certo non legata alle contingenze politiche e alle convenienze elettorali». Giorgia Meloni pensa soprattutto alla “sua disperata volontà di rompere l’isolamento della destra nonostante il periodo storico “proibitivo”. «Uno dei suoi pregi maggiori fu quello di immettere nel Msi personalità provenienti da altre aree culturali, dando sempre l’impressione di un partito effervescente, dinamico e protagonista».