Il muratore finalmente parla ma nega ogni addebito: «Non so spiegare il mio Dna sul corpo di Yara»
I riscontri scientifici. I tabulati telefonici. Le testimonianze: nega ogni addebito il presunto assassino della piccola Yara Gambirasio, Massimo Giuseppe Bossetti, l’operaio quarantaquattrenne fermato per il caso di cronaca nera che ha scosso l’opinione pubblica, tenendo accesi i riflettori su indagini e misteri per oltre tre anni. Caso che sembrava irrisolto fino a pochi giorni fa e che, in una spirale senza fondo di orrore e sconcerto, non accenna a smettere di rivelare retroscena inquietanti e possibili altri scorci di verità investigative. Caso che, al momento e fino alla conferma o smentita processuale, ha dato un volto all’enigmatico “Ignoto uno su cui ci si è arrovellati a lungo”, e su cui si è investigato con una generosità di mezzi e disponibilità di tempi come poche altre volte. In mattinata il gip Ezia Maccora e il pm Letizia Ruggeri sono giunte in carcere a Bergamo per l’interrogatorio di convalida del fermo del muratore bergamasco in regime di detenzione da lunedì. C’era molta attesa, anche perché per due volte, nei giorni scorsi, Bossetti si era avvalso della facoltà di non rispondere davanti al pm. E invece, a sorpresa, l’indagato ha parlato: anche se solo per smentire, senza argomentare, le accuse mosse a suo carico. «Sono totalmente estraneo», ha dichiarato Bossetti, come riferito dal suo legale, Silvia Gazzetti. Aggiungendo che nel tardo pomeriggio del 26 novembre 2010, quando scomparve Yara Gambirasio, lui si trovava a casa. Un alibi contraddetto dalla Procura che, sulla base dei riscontri telefonici contesta a Bossetti che il suo cellulare avrebbe agganciato la cella di Mapello, a cui si era collegato anche il telefono di Yara Gambirasio, ed era poi rimasto inattivo, senza ricevere o fare comunicazioni, fino alla mattina dopo alle 7.30. Un silenzio spiegato dal muratore arrestato con la giustificazione secondo cui il suo apparecchio sarebbe stato spento in quanto scarico.
Infine, l’interrogatorio si è chiuso sugli accertamenti scientifici che inchioderebbero con la prova inconfutabile del Dna l’indagato alle responsabilità omicidiarie che l’accusa gli attribuisce. Nel corso dell’interrogatorio, infatti, Massimo Giuseppe Bossetti ha detto di non aver mai visto «quella ragazza», e di non riuscire a spiegarsi per quale ragione il suo Dna sia stato trovato sul corpo della tredicenne dopo il ritrovamento nel campo di Chignolo d’Isola il 26 febbraio 2011. E, sempre a proposito di codice genetico, peraltro «mercoledì – ha spiegato l’avvocato Gazzetti – è stato fatto il Dna sul signor Bossetti (il padre del muratore in arresto) ed è stato confermato che non è il Dna del mio assistito». Il che conferma che l’indagato è il figlio biologico del defunto Giuseppe Guerrinoni, rivelazione che ha dato una svolta alle indagini. Indagini che dovranno accertare il coinvolgimento o meno di un eventuale complice, e altri possibili tasselli da accludere – per completarlo definitivamente – al puzzle giallo. Intanto, per le prossime ore i magistrati scioglieranno la riserva sulla convalida – o meno – del fermo.