Maria Rita Parsi: suor Cristina vince perché interpreta la religione della gioia

7 Giu 2014 12:35 - di Desiree Ragazzi

Niente eccessi, come quelli che siamo abituati a vedere in tv. Nessuna trasgressione per attirare l’attenzione.  Ma solo fede, semplicità, genuinità. E anche un’energia pura coinvolgente, musica, gioia, preghiera e soprattutto capacità di trasmettere un messaggio religioso che difficilmente rivedremo in un talent show. È il  fenomeno planetario chiamato Suor Cristina (50 milioni di visualizzazioni su YouTube), che ha regalato a  The Voice of Italia 2014 di Raidue un successo del tutto inaspettato. Sulla suora che ha trionfato a The Voice in queste settimane si è scritto e detto tutto e il contrario di tutto, il mondo del web si è diviso tra sostenitori e detrattori. Ci si è interrogati se era giusto che una suora partecipasse a una competizione canora in tv, se ha vinto per l’abito o per le sue qualità canore. Un caso di cui si occupa Avvenire, che titola “La vittoria dell’autenticità”. Il quotidiano della Cei nel descrivere il “fenomeno” della suorina di Comiso spiega che «conquistare gli altri essendo “solo” se stessi è una cosa che, anche nella vita comune, riesce a pochissimi…». E ancora: «La vittoria a The Voice di suor Cristina non è solo una questione di abito o di voce. Dietro il suo travolgente successo e dietro le altrettanti pesanti critiche che sta ricevendo, c’è innanzitutto la sua scelta e il suo modo di apparire in televisione. Di “abitare” un talent show: cioè una gara di spettacolo». Di certo lei non ha scelto la strada di piacere a tutti i costi. Si è presentata per quello che è: una suora con la sua semplice tonaca, la sua voce e il suo messaggio di evangelizzazione. Ha lanciato il messaggio chiaro e inequivocabile che la musica non è in contrasto con Dio («Perché ho partecipato a The Voice? Ho un dono, invece di tenerlo chiuso in casa lo uso per dire a tutti che Dio non mi ha tolto nulla») e che  «l’evangelizzazione si può fare in ogni luogo, se Dio vorrà andremo nelle piazze». Non a caso ha ricevuto la “benedizione” di Monsignor Gianfranco Ravasi. Qualcuno si chiede se suor Cristina possa essere considerata una risposta cattolica  alla drug queen  barbuta Conchita Wurst. Per la professoressa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi «la Chiesa la risposta l’ha data molto tempo prima. Non è una risposta alla cantante con la barba, ognuno si è presentato coi suoi panni. È un bel messaggio che suor Cristina si sia presentata con il suo abito». La sua figura, spiega la psicologa, «si inserisce nella continuità del film Sister Act, c’è un grande legame con la suora interpretata da Whoopi Goldberg. La tradizione cattolica è fatta di musica, canti e coralità. In America c’è il gospel, che coinvolge la gente nella preghiera col canto. E quello che fa suor Cristina si inserisce in questo contesto: è la risposta occidentale di cantare la preghiera. Il modo di cantare della suorina è una preghiera al Signore, è come se ci fosse una spettacolarizzazione della preghiera ma in senso assolutamente positivo. È un veicolo di fede e di innalzamento a Dio. Nel mondo dello spettacolo – continua Parsi – così dissacrato e dissacrante è un modo per rendere la parola di Dio più accessibile ai tanti. Sicuramente è un fenomeno molto positivo». Parsi ricorda anche un altro caso: quella della suora belga Luc-Gabrielle  passata alla storia con la sua canzone «Dominique, nique, nique. «Dominique, nique, nique. Con la sua semplicità lavora in povertà. Va dovunque col suo amor. Per parlare del Signor, per parlare del Signor».  «Sono tantissimi i casi di preti – dice ancora Parsi – che interpretano la musica mostrando un Dio giocoso e di canto, dimostrando così che ci sono diverse forme per arrivare allo steso progetto divino. E così non solo la lirica e musica classica, ma anche la musica leggera  può essere un messaggio di amore del Signore».

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